“Secondo le rivelazioni di Nyt e Guardian, la società un tempo presieduta dall’ex consigliere di Trump (e coordinatore della sua campagna elettorale) Steve Bannon, ha violato 50 milioni di profili Facebook per utilizzarli a fini elettorali. E il social network sapeva“
(AGI)
“Cambridge Analytica e il furto di dati: “Così influenzavano le elezioni“
(Repubblica)
“Facebook oscura Cambridge Analytica: “Ha rubato i profili di 50 milioni di elettori americani per aiutare Trump“
(Il Fatto Quotidiano)
Sono solo alcuni dei titoli dei giornali di pubblicati in questi giorni relativi all’affaire Cambridge Analytica, società di consulenza di recente finita nell’occhio del ciclone. Tutti falsi. Nella migliore delle ipotesi, imprecisi, perché non c’è stato alcun furto di dati, come assicura Facebook stessa in un tempestivo comunicato. I dati di questi 50 milioni di profili Facebook sono stati ottenuti legalmente e nel più semplice dei modi: chiedendo alla gente di loggarsi con Facebook ad alcuni servizi, ottenendo in cambio piccole somme di denaro per rispondere a un questionario oppure partecipando ai tanti sondaggi che affollano la piattaforma di Zuckerberg. Perché tanto scandalo allora? Perché questi dati sono stati utilizzati a fini elettorali, a quanto pare con grande successo: sembra che abbiano contribuito attivamente al successo di Trump, ma anche della Brexit. Praticamente, secondo alcuni analisti, il trionfo del populismo e delle destre è – almeno in parte – attribuibile alle azioni di Cambridge Analytica, una società la cui mission è “Utilizzare i dati degli utenti per cambiare i comportamenti del pubblico”. Pubblicità, fondamentalmente, anche a scopo politico.
Mentre sino a poco tempo fa erano i russi accusati di aver interferito (con cifre risibili, nell’ordine del centinaio di migliaia di dollari) con le elezioni USA, oggi si punta sulla società un tempo posseduta da Steve Bannon, consigliere di Trump. Non solo: a quanto pare, Cambridge Analytic ha avuto un ruolo chiave anche in Italia, quando nel 2012 “ha realizzato un progetto per un partito italiano che stava rinascendo e che aveva avuto successo per l’ultima volta negli anni ‘80”.
Come può una società di raccolta dati influenzare delle opinioni? Esattamente nello stesso modo in cui può convincere la gente a comprare una marca di caffè rispetto a un’altra: con pubblicità mirata e, in parte, anche giocando sulle paure e sulle angosce del pubblico. Come del resto fanno i politici, individuando un pericolo e giocando su quella paura per ottenere consensi. CA fondamentalmente ha fatto questo. Ha investito parecchi milioni di dollari (15 solo dal miliardario Robert Mercer, sostenitore dei Repubblicani) per analizzare i timori e le preferenze di milioni di persone per poi mandare messaggi mirati in modo da influenzare le loro scelte.
Che è quello che poi fanno tutti i partiti durante la campagna elettorale. Come mai tanto scandalo, se i dati sono stati ottenuti legalmente? Perché tali dati sono stati ceduti da una società all’altra senza il consenso. Praticamente, la società che ha fatto queste campagne di acquisizione ha poi ceduto i dati a una società terza senza avvertire gli utenti, andando così a violare le regole di Facebook (ma non la legge, a quanto ci è dato di sapere). Di conseguenza, la campagna è stata per certi versi subdola, non esplicita. Per capirci, un conto è uno spot elettorale o un comizio di Trump che attacca i messicani, un altro una pagina totalmente slegata dal personaggio che sparge FUD, che fa propaganda politica senza dichiararlo.
Nonostante non sembrino esserci profili di illegalità, la questione viene presa molto sul serio dalle autorità, in particolare negli USA e nel Regno Uniti, dove Zuckerberg è stato convocato per dare spiegazione su come mai non sia intervenuto.
Quanto accaduto dovrebbe farci riflettere seriamente. Non, come traspare da una certa stampa, perché hanno vinto le destre e il populismo. Dobbiamo riflettere perché stiamo perdendo totalmente il controllo dei nostri dati, e ogni volta che diamo un consenso ad accedere al nostro profilo, stiamo regalando dati a non si sa chi. Tutte le volte che clicchiamo sul test di personalità, sui giochetti tipo “scopri che personaggio dei cartoni animati sei”, “guarda che faccia avresti se fossi dell’altro sesso”, noi stiamo dando i dati del nostro profilo Facebook a qualcuno. Non sappiamo chi, non sappiamo che uso ne farà, ma di certo ne perdiamo totalmente il controllo. Il tutto senza averne niente in cambio. Pensiamoci ogni volta che facciamo un login con Facebook, Google o qualche altro account.