Le ultime modifiche ad Edgerank, l’algoritmo che decide cosa deve apparire sui miliardi di feed di Facebook, hanno già sortito due effetti: hanno mandato nel panico più di un’azienda e fatto scendere velocemente il valore del titolo in borsa. Gli unici che gongolano sono gli influencer: col calo della portata organica delle pagine sperano che le aziende spostino verso i loro profili Instagram il budget precedentemente investito su Facebook.
Ma esattamente cosa è un influencer, quale caratteristica lo rende tale? Difficile dare una risposta dato che non esiste una vera e propria definizione. Sulla carta, un influencer è una persona capace di spostare le opinioni – e soprattutto gli acquisti – dei suoi fan. Per intenderci, se Chiara Ferragni indossa particolare paio di occhiali, molto probabilmente le sue fan ne vorranno una uguale. Di conseguenza, aziende come Luxottica hanno tutto l’interesse a pagare cifre anche consistenti per convincerla a postare una foto dove li sfoggia.
Niente di diverso da quello che sono sempre stati i VIP, se non che al tempo si definivano testimonial mentre oggi si preferiscono altri inglesismi come ambassador o, per l’appunto, influencer. Un termine che include non solamente personaggi già noti al pubblico bensì anche persone sconosciute ai più ma capaci di avere un ascendente su un pubblico di nicchia. Pensiamo agli Youtuber che spopolano fra i giovanissimi: nomi come Cicciogamer, Pew Die Pie o Casey Neistat non non diranno granché a chi ha superato i 35, eppure sono personaggi seguitissimi e molto apprezzati dai più giovani.
Il successo di questo tipo di influencer è piuttosto facile da comprendere. Si tratta di persone che usano nuovi mass media e – soprattutto – nuovi linguaggi, più vicini a quelli del loro pubblico. Gli youtuber e gli instagrammer che macinano milioni di fan non hanno frequentato scuole di giornalismo o di dizione né hanno fatto una gavetta per imparare il mestiere: si sono lanciati con il tipo entusiasmo adolescenziale in una sorta di gioco dal quale sono usciti vincenti, conquistando un’audience enorme con la loro spontaneità.
Un mondo che può apparire perfetto ma che nasconde qualche insidia per gli investitori, che rischiano di vedere il loro brand associato a personaggi che da un giorno all’altro si bruciano totalmente la reputazione per inesperienza, gettando tra l’altro una macchia sulla categoria. Un annetto fa le battute vagamente antisemite di Pew Die Pie avevano “costretto” Youtube a rivedere la sua politica e diedero il via alla cosiddetta AdPocalypse, mentre più recentemente è stato Logan Paul – una star con più di 15 milioni di follower su Youtube, a bruciarsi la reputazione e obbligare Youtube a prendere provvedimenti. E un sacco di aziende a prendere le distanze da personaggi che sino a poco prima coccolavano.
Sulla questione è possibile leggere in Rete analisi di ogni tipo, da chi la butta su “questi giovani privi di valori” all’inevitabile “cosa non si fa per un click” ma il problema potrebbe essere infinitamente più banale di questo. Alla fine, stiamo parlando di ragazzi, spesso poco più maggiorenni, che hanno la visibilità (e in certi casi lo stipendio) di un calciatore e nessun filtro fra loro e il pubblico: non stupisce che non siano (ancora) in grado di capire il limite. Di distinguere quella sottile ed effimera linea che separa la goliardia dal pessimo gusto, l’ironia dall’insulto, la provocazione dal gettare tutto in caciara. Lo stesso problema che hanno certi calciatori, molto giovani, ricchi e un po’ troppo pieni di sé, con la differenza che lo sportivo ha un allenatore, una squadra e un manager pronti a tirargli le orecchie o, quando necessario, qualche calcio nel deretano. Gli influencer non hanno la fortuna di avere questi filtri. Cosa che li rende più spontanei, li rende amati, ma che talvolta gli impedisce di capire quando stanno mingendo fuori dalla tazza.
Sta quindi alle aziende selezionarli con cura, valutando di volta in volta quello più adatto a seconda della situazione e delle sue competenze, non dall’effimero successo sul breve termine, magari scaturito proprio dall’essere politicamente (e a volte moralmente) scorretto. Stando sempre attente oltre sia ai contenuti che propongono i potenziali influencer, sia al loro seguito: non mancano persone che cercano di monetizzare la loro manciata di fan cercando di scroccare cene, pernottamenti o vacanze. Come nel recente caso di Elle Darby, che nel tentativo di scroccare una settimana di vacanza insieme al fidanzato, è riuscita solo a rimediare pessima figura mentre l’albergatore che l’ha “accusata” si è fatto pubblicità gratuita semplicemente rifiutando le sue prestazioni.