Esiste un detto che afferma: “Quando le acque salgono, la barca fa altrettanto”.
In altri termini, di fronte al bisogno l’ingegno si aguzza.
(Yamamoto Tsunetomo)
C’è stato un tempo meraviglioso in cui le aziende iniziavano a dotarsi di computer (Internet e la posta elettronica sarebbero arrivate qualche anno dopo) e la massima espressione della strategia digitale era decidere se sostituire fin da subito la macchina da scrivere con la stampante. In quell’epoca che sembra lontana anni luce, ma che risale all’ingresso nel mondo del lavoro di molti fra i professionisti digitali di oggi, un esperto digitale era fin troppo. Molto spesso il tecnico dei computer era la stessa persona che si occupava dei fax o delle fotocopiatrici.
Le aziende più fortunate avevano un impiegato o un dipendente smanettone (il termine Nerd è arrivato in provincia solo nei primi 2010, quasi insieme a hipster) il quale era ben felice di uscire dalla sua routine. Le altre, tipicamente, si affidavano alla persona che aveva più vicinanza con l’elettronica. Chi si occupava di fax o fotocopiatrici, come dicevamo prima.
Spesso oggi, a distanza di venti o più anni, quella stessa persona o azienda è la stessa ed è passata dall’assemblare computer e installare programmi per l’ufficio a definire la strategia digitale dell’azienda, sia in termini di operatività sia di strategia.
Essere abitudinari in termini di rapporti di lavoro è tipico del tessuto imprenditoriale italiano. E fino a qui non ci sarebbe nulla di male, anzi. Un po’ di stabilità piace a tutti. Il problema è che fin troppo spesso questa stabilità diventa abitudine, cosa che in un mondo dinamico come quello del digitale è devastante. Come facciamo a capire se è giunto il momento per considerare altri fornitori? Basta ascoltare alcuni segnali, che per fortuna non hanno nulla di tecnico.
Per questa volta, cediamo anche noi a un po’ di consuetudine, presentando una lista di segnali da cogliere per capire se il nostro o i nostri esperti di digitale stanno rallentando la nostra trasformazione digitale.
In azienda la prudenza è senza dubbio importante, ma non è detto che le soluzioni già collaudate siano sempre le migliori. Per esempio, oggi la posta elettronica funziona molto meglio con un servizio di webmail aziendale in cloud rispetto al classico programma installato sul nostro computer. Chi sostiene il contrario è rimasto ibernato per gli ultimi dieci anni. In generale, fra gli esperti digitali e gli informatici delle prime generazioni, tende sempre a farsi strada l’idea che le soluzioni vecchie siano sempre le migliori. Il che è clamorosamente falso. Attenzione: questo non significa che la nostra azienda deve abbracciare qualsiasi delirio del mercato purché sia “nuovo”. Ma se il nostro esperto non prende mai in considerazione le novità, abbiamo decisamente un problema.
Non è necessario che ogni consulente si sieda in consiglio di amministrazione, ma se il nostro entra dalla porta, fa manutenzione ai computer e agli strumenti digitali, presenta la parcella ed esce, non si sta comportando come consulente ma come manutentore. Un esperto digitale che ha a cuore la nostra azienda si interessa dei nostri processi produttivi, conosce le nostre esigenze e si preoccupa per noi di trovare, nello sconfinato mare dell’offerta digitale, quello che potrebbe fare per noi. Naturalmente, vale anche per gli ambiti della comunicazione: quando è stata l’ultima volta che ci è stata offerta una nuova campagna di branding o un redesign? In questo, va detto che anche l’azienda deve fare un piccolo esame di coscienza e rendersi conto che ogni tanto bisogna dire “Sì” alle proposte. Cercando di capire quali sono fatte nel nostro interesse e quali sono fatte perché l’azienda consulente ha bisogno di fatturare.
Questo è davvero un brutto segnale. Può capitare che una novità arrivi prima alle nostre orecchie, in fondo nessuno al mondo è infallibile o onniscente. Ma se siamo sempre noi a chiedere lumi sulle novità, e il nostro esperto digitale è sempre diffidente o – peggio ancora – impreparato, significa che ha tirato i remi in barca e frenerà la nostra azienda, oltre alla sua.
Facciamo un passo indietro. Se la nostra è un’azienda che ha “perso” la trasformazione digitale è inevitabile che la nostra strategia parta dalle basi, sia in termini tecnologici, sia in quelli di comunicazione: non possiamo avere una strategia di digital branding se non abbiamo un sito Internet per esempio. Ma c’è tutto un mondo di “finte novità” che sono un segnale abbastanza forte di un modo inerziale di intendere l’innovazione.
Per esempio, se il nostro esperto ci spaccia una App della nostra azienda come qualcosa di assolutamente indispensabile “perché oggi ce l’hanno tutti”, oppure ci dice che dobbiamo essere presenti su tutti i social network, il suo concetto di innovazione è qualcosa del tipo “queste cose hanno funzionato qualche volta, qualche anno fa. Proponiamole all’infinito”.
Che siano proposte, pareri contrari, suggerimenti o strategie, dobbiamo fare molta attenzione a come vengono argomentate le scelte. Un esperto digitale serio presenta prove e documentazione recente e aggiornata. Diffidiamo di chi ha convinzioni animiste o sciamaniche, o di chi ha forti opinioni personali immotivate. Molto spesso è un segnale di superficialità o di situazioni stagnanti.
E se a supporto delle sue argomentazioni ci propone un articolo o una ricerca del 2014, è il momento giusto per iniziare a cercare un nuovo partner per le strategie digitali.
Chiariamoci, il fatto che la documentazione non sia recentissima non la rende automaticamente obsoleta o errata. Ma le cose in molti ambiti del mondo digitale cambiano così in fretta che è indispensabile aggiornarsi costantemente. Chi non lo fa vive di convinzioni errate o inefficaci.
Per esempio, ha ancora senso progettare o continuare ad avere un sistema di condivisioni strutturato e complesso sul nostro server quando usiamo (e paghiamo!) un servizio di cloud?
Oppure, le strategie SEO del nostro sito sono basate sulle ricerche del 2017 o del 2015?
Se ci riconosciamo in troppi dei segnali di cui sopra, probabilmente è giunto il momento di prendere in considerazione nuove strategie, nuove persone e nuove relazioni. Qualche novità, insomma. Non è necessario che sia un passaggio traumatico. Anche perché il buon senso vuole che una collaborazione decennale o ventennale si conservi perché c’è soddisfazione da entrambe le parti. Proprio per questo, avviare un dialogo con i nostri partner e individuare quali sono le aree deboli in cui avvalersi di nuove forze, sarà costruttivo per tutti.