Un piano editoriale privo di video può essere efficace sui social? - Hydrogen Code
ottobre 9, 2017

Chi lavora con Facebook è abituato ai cali della reach organica. In parte sono dovuti al numero sempre maggiore di contenuti che competono fra loro per entrare nelle timeline, in parte alle modifiche all’algoritmo, che talvolta ha un’influenza negativa sulla portata dei post. Per quanto sia una scocciatura, non si può far altro che far buon viso a cattivo gioco e cercare di adattarsi di volta in volta. Accettando il fatto che per raggiungere ulteriore pubblico l’unica via è investire qualche soldo nelle sponsorizzazioni, ma anche cercando di capire come limitare i danni il più possibile. 


Un’analisi condotta da Buzzsumo, basata sui dati di quasi 900 milioni di post, ha evidenziato come da luglio 2016 oltre alla reach sia crollato del 20% anche un altro parametro, quello che molti considerano il più importante: l’engagement. Sebbene l’analisi non ci aiuta a capire quali siano i motivi, c’è un dato che merita un approfondimento: i post con immagini e link sono quelli che hanno subito maggiormente il crollo dell’engagement. Al contrario di quelli con video che, invece, hanno perso meno terreno.
Sembra insomma che per aumentare reach ed engagement la via più semplice sia quella di pubblicare com maggiore frequenza ciò che il pubblico chiede maggiormente: i video. 

Facile a parole. Molto meno quando si inizia a pensare al piano editoriale, quantomeno per le pagine di realtà medio/piccole. Per i colossi che investono decine di milioni all’anno il problema non si pone: si aumenta di una piccola percentuale il budget e si trova qualche professionista che si occupa della cosa. Per le realtà più piccole, che devono centellinare le risorse a disposizione, la creazione dei video potrebbe essere molto onerosa, se bisogna prendere una figura dedicata.

Probabilmente qualcuno obietterà che alla fine basta uno smartphone e pochi minuti ma non è così: a meno di avere un talento naturale, autoprodurre video può portare a situazioni imbarazzanti, come nel recente caso di Katia da Castiglione delle Stiviere. Ci sono persone spigliate ed esuberanti capaci di bucare lo schermo, di contagiare gli spettatori, ma non sono gli esempi più diffusi. La maggior parte di noi, anche se non ha problemi di timidezza, quando realizza di essere ripreso smette di essere se stesso e diventa impacciato, poco naturale e incapace di coinvolgere. Il risultato potrebbe essere virale, certo, ma non per i motivi desiderati, bensì perché si risulta ridicoli. In tali situazioni la reach e l’engagement cresceranno ma, al di là del numero, l’impressione che daremo non sarà quella di una realtà professionale.  

In certi casi è meglio mettere in cantiere l’idea di comunicare coi filmati e cercare di capire come poter migliorare la pagina con altri strumenti, guardando oltre, creando coinvolgimento in altre maniere. Perché è vero che ora i video “spaccano” e sono il contenuto preferito di molti utenti, ma non ci vorrà molto prima che la gente si stufi anche di questo e inizi a prediligere altre forme espressive. O a ritornare al passato. A ben vedere, fra le pagine Facebook più apprezzate in Italia ci sono quelle di Ceres e Taffo che riescono a coinvolgere centinaia di migliaia di persone ricorrendo a semplici immagini accompagnate da pochissimo testo.