Smart working non è un mero sinonimo di telelavoro. Il telelavoro impone di essere sempre a casa, in quella che diventa a tutti gli effetti una succursale dell’ufficio, mentre lo smart working elimina anche questo fastidioso concetto e l’ufficio può essere ovunque: un terrazzo, uno Starbucks, una spiaggia o il vagone di un treno. L’importante è che ci sia una connessione.
Un approccio sempre più apprezzato dai lavoratori, in particolare quelli più giovani, ma ancora visto con sospetto da tante aziende che preferiscono un approccio più tradizionale.
Per superare queste diffidenze il Comune di Milano ha indetto la prima settimana dello Smart Working, un’iniziativa nata nel tentativo di spingere dipendenti e datori di lavoro a sperimentare nuove formule di lavoro, anche solo per pochi giorni. I potenziali vantaggi per aziende e dipendenti sono evidenziati in questo studio di IBM: chi lavora da remoto tende a essere più motivato, soddisfatto ed eccelle nel lavoro di gruppi.
Singolare il fatto che mentre Milano spinge e accelera su questa transizione, uno dei più grandi attori del mercato predica bene e razzola male. Come IBM che, dopo aver investito in ricerche e aver sviluppato soluzioni per il lavoro da remoto (soluzioni che continua a consigliare e vendere ai clienti), fa esattamente il contrario di quanto dice. Venerdì infatti è scaduto l’ultimatum che IBM aveva dato alla sua forza di lavoro remota: o accettate di lavorare in una delle sei principali sedi o potete evitare di venire in ufficio lunedì 22. Non parliamo di poche decine di persone sparse per gli USA bensì del 40% della forza lavoro. Migliaia di persone.
IBM ha smesso di credere nel lavoro a distanza o, come fanno notare alcune fonti, il problema sono i fatturati in calo e la necessità di ridurre i posti di lavoro?