Facebook sembrava sonnecchiante da un po’: un network che invecchiava, brava ad attirare i brand, un po’ meno a coinvolgere i giovani, che le preferivano Snapchat. L’inaspettato successo di questo network ha spinto Zuckerberg e i suoi a darsi una mossa e a svecchiare una piattaforma che rischiava di diventare elefantiaca. Partendo proprio dall’intuizione di Snapchat: trasformare la fotocamera dello smartphone in qualcosa di più creativo, in uno strumento capace di farci vedere la realtà sotto un’altra prospettiva, di “aumentare” la realtà .
A quanto emerge da F8, la conferenza annuale di Facebook, non si tratta di funzioni aggiunte solo per frenare l’avanzata di un pericoloso concorrente ma di un vero e proprio cambio di direzione. Se fino a ora Facebook ha stravolto il modo in cui teniamo contatti o ci informiamo, ora vuole cambiare come guardiamo alla realtà. In che maniera? Facendocela vedere attraverso un filtro, quello dello schermo. I Millenial lo fanno già da tempo: basta andare a un concerto per realizzare come la maggior parte si goda lo spettacolo attraverso il filtro del suo smartphone, col quale registra, manda in stream, commenta e “partecipa” all’evento, a modo suo.
Quella realtà aumentata di cui Microsoft parla da anni e che Google e Snapchat ci stanno facendo assaggiare probabilmente verrà resa accessibile a tutti da Facebook e la sua nuova Camera Effect Platform, che permette di aggiungere cornici e soprattutto nuove funzioni e nuovi script agli effetti che già conosciamo. Qualcuno ha interpretato l’apertura alla realtà aumentata come un segno dell’abbandono della realtà virtuale, eppure durante F8 è stata lanciata una versione beta di Facebook Spaces, un social network in realtà virtuale. A giudicare dal numero di Oculus Rift venduti non sarà molto popolato, mentre la realtà aumentata è già accessibile a tutti, richiedendo solo uno smartphone.
Questi investimenti mostrano chiaramente una cosa: la ricerca di Facebook si sta concentrando particolarmente sulle interfaccia uomo/macchina, puntando a rendere più intrigante il mondo che ci circonda. Popolandolo di bot pronti a venirci in supporto, semplici intelligenze artificiali che non hanno intenzione di sostituirsi alle persone, ma alle interfacce utente. Perché navigare un sito cliccando su menu quando possiamo esplorarlo semplicemente interpellando – a parole – un software? Che è disponibile 24/7, sempre gentile e non si stanca, al contrario di un essere umano: non stupisce che a fronte del successo dei bot, Facebook abbia voluto espandere Messanger con un motore di ricerca che ne semplifica la ricerca e l’utilizzo.
Mentre ancora ci chiediamo se finiremo a usare la VR quotidianamente, Zuckerberg è già passato oltre. A come ovviare alla crescente complessità dei comandi touch e i limiti di quelli vocali. La soluzione sono le interfacce neurali su cui Facebook sta lavorando da tempo che consentiranno alle macchine di collegarsi direttamente alla mente delle persone, che nelle intenzioni di Mark potranno comunicare coi pensieri. Lo considerate uno scenario un po’ deprimente? Dipende dai punti di vista. Pensando a come simili tecnologie potrebbero migliorare la vita di persone con disabilità, per esempio.
Al di là dei proclami e dei sogni, è evidente che il nostro rapporto con la tecnologia cambierà radicalmente e dal punto di vista dell’interazione con le macchine. Cambierà per gli utenti e di conseguenza per chi fa marketing che da un lato avrà a disposizione strumenti sempre più semplici, potenti e automatizzati. Dall’altro dovrà nei prossimi anni ripensare le sue strategie cercando di intuire come il pubblico si rapporterà coi brand tramite strumenti sempre più nuovi e complessi.