Come tutti i giorni stai sfogliando le news della giornata e, fra le tante, ti scappa l’occhio sulla bufala. A volte te ne accorgi perché gira da ormai tanto tempo, altre l’indizio è la fonte ambigua ma apparentemente simile a testate nazionali (ilgiomale, ilcorsarodellasera e via dicendo). Rimane il fatto che chi si informa online è costantemente bombardato da notizie inventate di sana pianta e da bufale che si ripetono nel tempo, nonostante le innumerevoli smentite.
Le false notizie non sono certo una novità (le teorie sul falso allunaggio di Bill Kaysing circolano dal 1976) ma da un lato la capillarità di Internet ha aumentato esponenzialmente la loro diffusione, dall’altro l’economia dei click ha contagiato anche i più importanti organi di informazione. La rapidità con cui si pubblica una notizia è spesso più importante della verifica delle fonti e i giornalisti sanno bene che una news estremamente curata ma uscita tardi non avrà la diffusione di un’altra raffazzonata, ma pubblicata al momento giusto.
I navigatori più sgamati ormai hanno fatto gli anticorpi e ci impiegano poco a verificare l’attendibilità di una news, ma non tutti hanno a disposizione il tempo o gli strumenti culturali.
Google han deciso di correre ai ripari, introducendo il tag “fact-check” di fianco alle notizie di Google News che contengono notizie verificate dagli autori.
Non si tratta di censurare le opinioni scomode ma di dare a tutti gli strumenti per poter approfondire e non farsi trarre in inganno da false informazioni: nel tempo ci sono cascati anche i le più importanti realtà editoriali, Ansa compresa. Anche le fonti più affidabili possono cadere in errore nell’era della condivisione e sapere che una notizia non è semplicemente stata pubblicata ma è stata oggetto di verifica da parte della redazione è un passo in avanti per un’informazione più corretta. Lo avevamo intuito anche noi in tempi non sospetti, quando insieme ad <ahref avevamo lanciato la piattaforma factchecking.it per permettere a tutti di valutare l’attendibilità delle notizie.
Certo, ora non spariranno magicamente le tante sciocchezze che inevitabilmente intasano i nostri feed, ma è un notevole passo avanti. Un tag come questo non farà certo cambiare idea a chi sposa teorie antiscientifiche né la sua assenza implicherà che siamo di fronte a informazioni false. Per il lettore sarà però più facile identificare al volo quali delle news sono state oggetto di verifica e quali no, senza dover consultare ulteriori siti solo per scoprire se l’ennesimo scoop è basato su informazioni false.
Sarà interessante vedere come reagiranno gli internauti: faranno più click le notizie basate sul fact checking oppure le solite bufale trite e ritrite? Perché alla fine sarà il pubblico a decretare il successo o meno dello strumento e gli editori decidono la loro linea editoriale sulla base delle decisioni dei loro lettori. Nell’era della condivisione, la scelta di cosa commentare e condividere pubblicamente fa la differenza ed è naturale che un editore tenda a replicare i contenuti più virali. Se gli editori privilegiano il tempismo e non la qualità, buona parte è colpa nostra. Siamo noi che facciamo girare le notizie con i nostri like e le nostre condivisioni. Azioni che spesso compiamo senza approfondire, attratti da un titolo accattivante. Una tendenza diffusa, come ha dimostrato il The Science Post postando su Facebook una ricerca secondo la quale il 70% degli utenti Facebook commenta notizie che non ha letto. Il post ha avuto un successo devastante con più di 46.000 condivisioni. In pochi però hanno notato che, tolto il titolo, il testo della ricerca era niente altro che il Lorem Ipsum.