Il Belpaese ha tanti primati, alcuni positivi e altri negativi, ma se c’è un parametro che veramente ci rende invidiabili è l’aspettativa di vita: sotto questo profilo siamo – per una volta – ai primi posti. Nonostante l’inquinamento che colpisce pesantemente alcune zone e le difficoltà economiche, siamo fra i popoli più longevi al mondo. Sarà il clima, la dieta mediterranea o si tratta di questioni genetiche? A dare una risposta ci prova Watson, un supercomputer di IBM realizzato appositamente per macinare dati e trovargli un senso, per essere una sorta di intelligenza artificiale particolarmente evoluta. Ha battuto delle persone a Jeopardy (l’equivalente dell’italiano Rischiatutto), è in grado di suggerire ricette innovative partendo da una serie di ingredienti base indicati da chi lo utilizza e pure di analizzare un testo e trarne conclusioni sul carattere dei personaggi, sullo stile di scrittura e via dicendo.
Ora IBM lo vuole mettere al servizio della ricerca italiana e ha firmato un accordo col governo Renzi che si inserisce nel progetto di riforma sanitaria voluto dal governo. Il colosso americano metterà sul piatto 150 milioni di dollari oltre a scienziati, ricercatori e tecnologie.
L’obiettivo è quello di studiare i dati disponibili e quelli che verranno accumulati negli anni successivi per fare ricerche ancora più approfondite sui fattori che influenzano le condizioni di salute, alla ricerca dei parametri che fanno dell’Italia un popolo particolarmente longevo.
“Il colosso americano metterà sul piatto 150 milioni di dollari”
Sono due gli aspetti che colpiscono. Il primo è che questa notizia in Italia è passata come una delle tante notizie di costume, insistendo più sul luogo (sorgerà nella zona lasciata libera da EXPO) che sulla portata dell’operazione: ci lamentiamo sempre che il nostro paese non investe in ricerca e una volta che qualcosa si smuove, la notizia viene data come se avesse la stessa rilevanza delle nuove scarpe di Belen.
Il secondo aspetto che merita un approfondimento è la versatilità di un sistema di intelligenza artificiale come Watson, apparentemente capace di affrontare qualsiasi problema e rispondere come se fosse un essere umano. Per analizzare la realtà, non basta più un potente computer che macini dati, bensì di un elaboratore abbastanza complesso da “pensare”, non semplicemente di fare dei calcoli. Oggi, grazie all’informatizzazione delle strutture statali, a Internet e soprattutto ai social network abbiamo una massa di dati enorme, l’80% della quale – almeno secondo IBM – non è strutturata. Watson è in grado di dargli un senso e, soprattutto, di rispondere in maniera comprensibile a un essere umano, non con una “semplice” serie di dati.
A giudicare dai risultati ottenuti fino a ora, rimane solo da chiedersi quanto ci metterà una macchina a superare il test di Turing, cioè quando una intelligenza artificiale sarà indistinguibile da una persona vera e propria.