La Cina è vicina. E anche molto aggressiva - Hydrogen Code
luglio 10, 2018

Noi occidentali abbiamo un approccio singolare con la Cina. Se da un lato non esitiamo a definire “cinesata” qualsiasi prodotto ultraeconomico Made in China, dall’altro ci spertichiamo di lodi nei confronti di smarpthone, processori per computer e altri concentrati di alta tecnologia che a tutti gli effetti sono realizzati in oriente. Eppure, a ben vedere, la stragrande maggioranza degli oggetti tecnologici di uso quotidiano sono prodotti lì, che si tratti di uno stiloso Macbook, dello smartphone all’ultimo grido, della Smart TV 4K e HDR o della scheda di memoria. Certo, gli iPhone sono progettati in USA e solamente realizzati in Cina, ma è da parecchi anni che anche gadget interamente concepiti nel paese di Mao sono fra gli oggetti più desiderati o, comunque, più diffuso. Pensiamo agli smartphone di aziende come Huawey, che in breve tempo ha superato pure Apple ed è seconda solo a Samsung nel settore della telefonia mobile, oppure ai router che ci collegano a Internet, inclusi quelli forniti dal provider.

Praticamente, qualsiasi prodotto con contenuti tecnologici viene prodotto in Cina, nelle enormi fabbriche di Foxconn o altre realtà. Il motivo è semplice: il costo del lavoro estremamente basso rispetto a quello di USA ed Europa, che permette di ottenere ampi margini di guadagno per chi produce oggetti di lusso o, al contrario, di competere all’estremo opposto e vendere al prezzo più basso, ragionando più sulla quantità che sul margine. Poco conta quale filosofia scelga l’azienda: il risultato è che a lungo l’occidente ha preferito far finta di ignorare che gli standard in termini di diritti umani sono ben più bassi in Cina. Certo, ogni tanto montava qualche protesta, solitamente legata a notizie relative ai suicidi di dipendenti di Foxconn, ma bastava qualche giorno perché il pubblico se ne dimenticasse e tornasse a parlare d’altro.

Forse perché molti vedono la Cina come un paese povero e retrogrado, senza rendersi conto che in realtà è un’enorme potenza economica. Avergli delegato tutta la produzione tecnologica a ben vedere forse non è stata un’idea geniale. Non solo per questioni di equilibri economici (quelle che gli USA stanno cercando di risolvere a suon di dazi), ma per ben più scottanti temi sociali. Delegando tutta la produzione, abbiamo dato un potere di controllo enorme a una nazione che ha dimostrato di avere una visione non facilmente conciliabile con la nostra in termini di diritti umani.

Per un individuo che vive in occidente il social rating è la distopia narrata in Nosedive, agghiacciante episodio della serie Black Mirror. Per uno che vive in Cina il Social Rating è la quotidiana realtà già da qualche mese. Una realtà che “premia” i comportamenti considerati virtuosi e punisce quelli antisociali, annullando allo stesso tempo l’individuo e la sua libertà.

Potremmo girare la testa dall’altra parte, come del resto abbiamo sempre fatto acquistando frigoriferi e televisori e fregandocene delle condizioni di chi li assemblava, ma non ci conviene: gli abbiamo insegnato noi a costruire questi strumenti di controllo e ne siamo i primi acquirenti. Cosa abbiamo da temere? Tutto: a partire dall’idea di essere costantemente spiati dagli oggetti che ci circondano per arrivare alla perdita di controllo delle “nostre” tecnologie. Non si tratta di paranoia, ma di dati di fatto. ZTE è stata scoperta mentre distribuiva tecnologie a paesi in cui vigeva l’embargo, come Iraq e Corea del Nord, per fare un esempio. Ma sicuramente ci toccano di più esempi più concreti. Come le videocamere di sorveglianza a basso costo che sono totalmente vulnerabili, o la cessione dei nostri dati a terzi che nemmeno conosciamo. I nuovi smart TV hanno tutti una videocamera costantemente puntata sul nostro divano/letto: siamo sicuri sia inaccessibili, che il governo cinese non ficchi il naso anche nell’intimità di chi vive in altri paesi? Lo stesso vale per i dati che raccoglie uno smartphone: sa dove siamo, quanti passi facciamo, chi frequentiamo e, oltre al volto, ha a disposizione impronte digitali e scansione dell’iride. Rimarranno criptati e riservati questi dati, o sono a disposizione del regime? E che dire dei chip dei router? Snowden ha rivelato come gli americani hackeravano i sistemi informatici posti immediatamente dopo le dorsali per spiare i cittadini di altri stati: chi ci dice che non facciano lo stesso con noi paesi con una visione opposta sui diritti umani?

Un discorso paranoico? Assolutamente no, date le recenti dichiarazioni del presidente della Repubblica Popolare cinese, che ha annunciato di voler raggiungere l’indipendenza tecnologica, obbligando i produttori a rispettare standard di conformità cinesi e – soprattutto – le loro politiche di sorveglianza. Quelle stesse politiche che non permettono a Facebook e Google di operare nel paese, non se vogliono rimanere fedeli ai principi di libertà ai quali siamo abituati.  Quelle politiche che trovano normale e giusto filtrare tutto il traffico e i contenuti, lasciando allo stato il potere di decidere di cosa è lecito discutere e con quali toni.

Mentre gli USA cercano di riprendere il controllo della situazione, costringendo in varie maniere i produttori a spostare le fabbriche in territorio statunitense, l’Europa fa da spettatore di una realtà che sembra non capire e che, probabilmente, non gli interessa nemmeno troppo. Per lo meno sino a che non arriverà il salato conto da pagare.