L’Europa, ferma al ‘900, multa Google - Hydrogen Code
luglio 20, 2018

Google ha ricevuto l’ennesima multa dall’Unione Europea, questa volta per abuso di posizione dominante nella distribuzione del sistema operativo Android. La multa è stata decisa dal Commissario Europeo per la Concorrenza, la danese Margrethe Vestager.

Di cosa è accusata Google?

L’accusa è uno dei “grandi classici” nel trentennale rapporto fra l’Unione Europea e i colossi americani dell’informazione. Abuso di posizione dominante significa, in soldoni, che Google avrebbe approfittato della sua forza commerciale nella distribuzione di Android per consolidare la sua posizione negli altri settori, primo fra tutti quello dei motori di ricerca. Oltre alla multa, salata per i comuni mortali ma sostenibile per Google, visto il fatturato di Android, l’azienda ha 90 giorni per cambiare le proprie pratiche.
L’accusa sarebbe quella di aver forzato la mano ai produttori per convincerli a preinstallare i servizi di Google insieme ad Android, per esempio usando Big G come motore di ricerca predefinito e inserendo App della Google Suite.
Questa pratica sarebbe stata perseguita in diversi modi, che andavano dalla minaccia di bloccare l’accesso ad alcune funzioni di Google agli accordi commerciali.
 

Chi ha ragione? Google o L’Unione Europea

Naturalmente l’azienda ricorrerà in appello sostenendo, come ha già fatto il suo CEO Sundar Pichai, che in realtà Android è un sistema aperto e i suoi utenti hanno sempre avuto la facoltà di disinstallare ogni App e sostituire le impostazioni predefinite. Cosa peraltro vera, sulla quale ritorneremo fra breve.
Il problema fondamentale è che si scontrano due approcci, quello estremamente protezionista dell’Unione Europea e quello meritocratico del mondo digitale, in cui scalate, picchi e acquisizioni sono all’ordine del giorno.
Ma oltre a chi avrà “tecnicamente” ragione in questa causa, c’è un aspetto che ci dovrebbe preoccupare: l’impostazione dell’Unione Europea nei confronti della concorrenza.
Il fatto che la UE digerisca male i colossi americani è evidente e le ragioni sono chiare e comprensibili. Il clamoroso errore della UE tuttavia è che il suo approccio al mercato è rimasto quello colonialista, in cui per “strangolare” un avversario era sufficiente imporgli un nuovo dazio.
 

L’Europa è l’inferno dell’innovazione

Le conseguenze sono tristemente sotto gli occhi di chiunque si occupi di digitale: le aziende che vogliano fare innovazione in Europa partono con uno svantaggio clamoroso, dovuto proprio al giogo di norme, leggi, regolamenti e burocrazia che affligge il vecchio continente.
In altre parole, le norme che dovrebbero garantire una sorta di “embargo di fatto” sui prodotti digitali esterni, finiscono per gravare pesantemente sulle imprese europee, molto più che sui concorrenti esteri, che possono incubare e far crescere il proprio business in mercati meno ostili e sbarcare in Europa solo quando i volumi e il fatturato gli permettono di fare fronte alla burocrazia. Un approccio che, in nome della tutela del cittadino, finisce per essere nemico dello sviluppo, senza di fatto modificare di una virgola le tutele.
 

La concorrenza non si fa con i dazi

Né con le norme, anzi. La storia della tecnologia e dello sviluppo ci racconta che è l’esatto contrario. Dunque, se L’intenzione dell’Unione Europea fosse davvero quella di favorire lo sviluppo delle imprese locali, gli sforzi dovrebbero essere diretti a finanziare e favorire l’innovazione anziché fare cassa con multe miliardarie.
Un esempio “storico” è quello del browser Opera, che esiste dagli anni ‘90 ed è tuttora uno dei migliori. Con il giusto aiuto e supporto, avrebbe potuto riempire il “vuoto di potere” che invece è stato preso da Chrome.
In tempi più recenti Qwant, il motore di ricerca francese fortemente orientato alla privacy, avrebbe le caratteristiche per diventare una valida alternativa, ma duckduckgo, forte di un ecosistema più favorevole, gode di una maggiore diffusione.
L’Unione Europea insomma, dovrebbe preoccuparsi di favorire lo sviluppo e la competitività delle proprie aziende, invece di cercare di “tenere fuori l’invasore” sprecando denaro e risorse.
 

Non si educano le persone con le multe milionarie

L’unica giustificazione a un atteggiamento di questo tipo è la protezione dei cittadini, attraverso la garanzia di una possibilità di scelta.
Sfortunatamente, è una battaglia inutile, dal momento che i sistemi Android sono realmente aperti e permettono davvero all’utente di rimuovere o limitare quello che non desidera. Esistono addirittura versioni di Android liberamente installabili pensate proprio per la privacy, come la celebre Paranoid Android.
Il motivo per cui pochissime persone colgono questa opportunità è che quasi nessuno lo sa. Un po’ come quindici anni fa le persone continuavano a usare Internet Explorer perché non sapevano che si poteva cambiare browser.
Questa sarebbe la strategia giusta per contrastare i monopoli nel digitale: educare i cittadini alla scelta, spiegare che esistono alternative, alzare il livello di competenza e di spirito critico. La vera tutela del cittadino non si fa limitando le sue scelte, ma insegnandogli a gestire la propria libertà. Purtroppo il fatto che alla vecchia Europa piacciano più barriere e confini che apertura e nuove opportunità non è niente di nuovo.