Il successo di Squid Game. Risultati belli e brutti...secondo noi
ottobre 22, 2021

Meme, articoli, blog, social, TV. Il successo di Squid Game è arrivato ovunque e ha ottenuto dei risultati belli e brutti nella nostra società.

In effetti sono poche le persone ormai che non hanno visto la serie tv prodotta da Netflix. Il popolo degli scettici esisterà sempre. Eppure a chi lo ha visto, il programma è piaciuto molto… anzi moltissimo. Cerchiamo di capire insieme il perché.

UN PO’ DI NUMERI

La serie è uscita il 17 settembre scorso e da allora ha visto una crescita esponenziale, rendendola la serie “unicorno” del decennio. Netflix ha speso 21,4 milioni di dollari per la produzione dei 9 episodi (circa 2,4 milioni a episodio) e arriverà a trarre da essi un guadagno 40 volte superiore: quasi un miliardo di dollari (891 milioni). Non solo, il successo di Squid Game secondo noi arriva anche dal fatto che da prodotto pensato per il mercato asiatico si è trasformato in un fenomeno globale. Ad oggi più di 132 milioni di account hanno visto almeno due minuti di “Squid Game”. Circa l’89% ha guardato almeno 75 minuti (cioè più di un episodio), dei quali il 66% (87 milioni di spettatori) ha terminato l’intera serie. Ovviamente per calcolare il successo della serie non ci si è basati sugli introiti al botteghino, ma su quanto il programma ha trattenuto utenti all’interno della piattaforma senza disdire l’abbonamento.

MA COSA CI HA TENUTI INCOLLATI ALLO SCHERMO?

Ci sono due possibili risposte: il gusto della violenza e il senso di comunità.

Per quanto riguarda la violenza, potremmo aprire una lunghissima parentesi di riflessione. Quando l’estate scorsa abbiamo pubblicato un breve giallo ad episodi, ci siamo domandati se fosse indispensabile o meno aggiungere scene cruente o comunque intrise di sangue. Alla fine abbiamo optato per quello che i Greci chiamavano “non contaminazione” del palcoscenico. Dove gli atti di violenza venivano sì raccontati, ma non visti dagli spettatori. Spesso infatti veniva posto un telo bianco che impediva la vista del gesto violento. Gli spettatori potevano solo immaginare cosa stesse accadendo. Questo perché il teatro era considerato un tempio dove offrire sacrifici di bellezza e arte agli dei. Al contrario oggi diamo libero sfogo al nostro voyerismo nei confronti del sangue. La violenza fa parte della nostra natura più arcaica e animalesca e sfogarla ci fa provare piacere…peccato solo per quei 20.000 anni di storia in cui abbiamo provato inutilmente ad evolverci per diventare migliori.

Fare comunità

La seconda opzione è certamente più gradevole, ma anche la più visionaria. Molti critici sul web hanno riportato riflessioni del tipo “si c’è tanto sangue…ma guardate come si supportano l’un l’altro”. Insomma sembrerebbe che il successo di Squid Game sia dovuto al profondo messaggio di solidarietà che i protagonisti lanciano nella serie. A noi questa riflessione non convince moltissimo perché (ALLERTA SPOILER) dei quasi 500 giocatori all’interno del gioco, solo 4 compiono dei concreti gesti di solidarietà. Forse un po’ troppo poco per poter parlare di “profondi sentimenti umani”.

La realtà è che la società e i suoi valori vengono profondamente destabilizzati all’interno del gioco, riportando i protagonisti quasi allo stato di natura, con un rapporto univoco tra vittime e carnefici. Questo perché in qualche modo la “crisi” dell’ordine ci piace, è un po’ come quando da bambini venivamo lasciati soli in classe senza la maestra. Insomma… sempre 20.000 anni di storia dell’evoluzione umana buttati via.

PIACE ANCHE AI BAMBINI…

Lungi dal fare dei pesanti paternalismi, concludiamo questo articolo con una breve riflessione sul successo di Squid Game tra i più piccoli.

Non è una novità, il programma è stato visto da milioni di bambini in tutto il Mondo. La reazione è stata quella tipica: i bambini lo hanno visto, lo hanno assimilato e lo hanno imitato.

Nel 1954, lo scrittore e pedagogista inglese William Golding pubblicò il suo famoso romanzo “Il Signore delle mosche”, la storia di un gruppo di bambini naufraghi su un’isola deserta che nel giro di poco tempo costituiscono una comune distopica, violenta e oppressiva.

Sostanzialmente l’autore non ha dovuto inventarsi niente. Tutta la violenza narrata nel libro è frutto delle osservazioni fatte dai suoi alunni a scuola.

Ok, abbiamo appurato che la natura intrinsecamente violenta dell’essere umano si manifesta anche da bambini. Eppure, parte dell’educazione per diventare adulti, è proprio quella di insegnare che l’uomo ha ben più elevati sentimenti da provare. Empatia, affetto, amicizia, amore…

Perché non lo insegnamo più ai nostri bambini? Perché ci ostiniamo a parcheggiarli davanti al televisore?

Continuiamo a insegnare loro la favoletta che ci ripetiamo da secoli. La vita è una lotta di tutti contro tutti. Quando al contrario fior di matematici ed economisti ci insegnano che non è vero: la vita funziona, se tutti vinciamo insieme. Per esempio, rinunciando a guardare una serie tv violenta, consapevoli che mio figlio seduto accanto a me potrebbe non imparare cose buone. Questo vuol dire vincere insieme… ma è un’altro bell’argomento di cui ne abbiamo già discusso in questo articolo.

Io, speriamo che me la cavo (cit.)