Adpocalypse non è un refuso e neppure una malattia strana. È il nome dato alla “demonetizzazione” che Youtube ha messo in atto nei confronti di alcuni dei creatori di contenuti. Se vi state chiedendo il motivo per cui Youtube dovrebbe togliere ricavi riducendo il numero di visualizzazioni di un video o un canale, prendetevi qualche minuto di calma e continuate a leggere, che la questione non è lineare come vorremmo tutti.
Tutto nasce quando qualcuno realizza che personaggi come David Duke del Ku Klux Klan, l’estremista islamico Wagdy Ghoneim o l’estremista cristiano Steven Anderson fanno soldi dai loro video su Youtube. Non ci sarebbe niente di male se solo questi video non fossero a tutti gli effetti propaganda razzista. Che c’è sempre stata e, sino a che esiste la libertà di opinione, probabilmente continuerà a esistere in qualche forma. Quando però agenzie di rating come Pivotal hanno iniziato ad abbassare il rating di Google, il colosso si è trovata ad agire e a mettere un freno alla loro diffusione, togliendogli a tutti gli effetti introiti. L’opzione per “demonetizzare”, esiste da tempo, fin dal 2012, non è una cosa nuova ma pochi creatori di contenuti si sono lamentati della cosa, probabilmente perché andava a colpire pochissimi canali.
fonte: Google
Facciamo un fast forward verso febbraio 2017, quando il termine “Adpocalypse” inizia a venire cercato con più insistenza. Cosa è successo? Che uno degli youtuber più famosi (e ricchi) del mondo, PewDiePie, va ben oltre la decenza pubblicando un video al cui interno c’è un’infelice battuta contro gli ebrei. Pochi secondi su un video ben più lungo ma sufficienti a far inferocire mezzo mondo. Ci sono volute solo poche ora prima che colossi come Disney, che investivano milioni su Youtube, si lamentassero e minacciassero di ritirare i loro investimenti se Youtube non avesse preso provvedimenti. Ovviamente Youtube non può andare a intaccare la libertà di espressione dei suoi utenti ma può andare incontro ai suoi inserzionisti, facendo sì che loro possano scegliere su quali canali deve o non deve andare il loro contenuto. Il risultato è stata una variazione degli algoritmi che analizzano i contenuti dei video alla ricerca di contenuti considerati “not family friendly”, cioè contenenti parolacce, violenza o allusioni al sesso. Video, insomma, non accessibili a tutti, un po’ come i canali vietati ai minori sulle pay TV. Una variazione che è costata a PewDiePie, e non solo, una sensibile penalizzazione, sia in termini di visualizzazioni sia di introiti pubblicitari.
Non pochi youtuber si sono inferociti, postando accesi video di protesta che incitavano a boicottare la piattaforma se non avesse rivisto le proprie regole. Alcuni hanno cercato di sfondare su altri lidi, come Twitch, altri hanno in qualche maniera accettato le regole e cercato di “accontentare” l’algoritmo evitando parolacce o prestando (finalmente) attenzione a quello che dicono.
Dopo il rumore iniziale sembrava che nessuno pensasse più all’Adpocalypse, per lo meno sino a metà ottobre quando anche il popolarissimo Casey Neistat è stato demonetizzato, cosa che ha riportato alla ribalta le falle degli algoritmi – e delle policy – di Youtube.
Al contrario del passato, Casey non ha incitato all’odio né ha usato termini forti, eppure un suo video è stato pesantemente limitato nella diffusione (parliamo di un numero di visualizzazioni inferiore di dieci volte alla sua media) solo perché parlava della tristemente famosa sparatoria a Las Vegas. Nel video non erano presenti scene cruente né termini forti: era solo un appello per raccogliere dei fondi da destinare alle vittime dell’attacco. Poco importa: per le policy di Youtube, quel video deve essere demonetizzato e gli algoritmi eseguono senza fiatare. Il tutto mentre alcuni colossi potevano permettersi tranquillamente di fare pubblicità nonostante trattassero lo stesso argomento. Come Jimmy Kimmel, che ha fatto uno speciale sulla strage e non ha avuto alcun problema a farlo visualizzare e monetizzare. Un doppio standard che non è piaciuto alla comunità di Youtube. Non solo per la fastidiosa perdita di denaro che ha colpito più di un creatore di contenuti, ma soprattutto per l’assenza di regole chiare: perché Kimmel sì e altri no? Su quali basi?
Se la maggior parte concordava che PerDiePie avesse effettivamente esagerato (ricordiamo che lui – parlando di videogiochi – ha un seguito di giovanissimi), l’assurda vicenda di Neistat ha fatto sì che il termine AdPocalypse finissa sulla bocca di tutti. Un rumore tale che ha spinto Youtube ad agire e in fretta. Il 26 ottobre la società ha infatti pubblicato un annuncio specificando che grazie alle segnalazioni aveva ritoccato l’algoritmo e ora la demonetizzazione avrebbe toccato un numero molto minore di canali.
Tutto finisce bene, quindi? Per Casey Neistat, così come per altri Youtuber, sì. Ma Casey ha un canale con 8 milioni di follower, è a tutti gli effetti una star online. Certo, non è immune alle regole ma quanto si ha così tanta visibilità è più facile far emergere un problema e trovare un interlocutore. Per la maggior parte delle persone non è così e sono in tanti a sfruttare Youtube per guadagnare o promuovere la propria attività: siamo sicuri che affidare ad algoritmi scelte delicate come questa sia la soluzione giusta?