Senza che ce ne rendessimo conto, il Cloud ha iniziato a far parte delle nostre vite. Quasi inconsciamente abbiamo iniziato coi servizi di e-mail per poi espanderlo pian piano ad altri aspetti. Apple con l’iPhone ha introdotto iCloud per semplificare il backup di rubrica, calendario e foto, mentre Dropbox, inizialmente nato per piccoli gruppi di lavoro, si è migliorato al punto da essere usato anche dalle corporazioni più grosse e diventa ogni giorno più simile a un sistema operativo piuttosto che al “deposito” di file che era inizialmente.
Ormai viviamo sulla nuvola. Il nuovo Office 365, i documenti di Google Drive, le note veloci di Evernote, sono solo alcuni esempi, quelli più evidenti. Ce ne sono molti altri, meno palesi. Pensiamo ai tanti oggetti IOT (Internet of Things) che affollano il mercato. Quando colleghiamo la nostra camera di sorveglianza e in due click è accessibile al mondo intero, è proprio grazie al Cloud. In passato bisognava barcamenarsi aprendo le porte del router, impazzire per configurare correttamente il DNS dinamico. Ora è tutto più facile. Il motivo è che la comunicazione non è più diretta fra due dispositivi: quando osserviamo con il nostro smartphone le immagini del sistema di sorveglianza, i video passano prima per i server di qualche azienda che gestisce il tutto. Come nel caso di Dropbox, OneDrive, Evernote: i dati sono sincronizzati fra tutti i dispositivi perché si trovano su un server remoto accessibile da qualsiasi parte, a patto di averne la password.
Appoggiarsi al Cloud risolve un sacco di problemi: semplifica la configurazione dei dispositivi, permette di avere un archivio di file accessibile da ovunque il cui backup è automatizzato e gestito esternamente, sgravandoci pure dei costi di archiviazione. Permette di condividere file velocemente con chiunque e ci mette al sicuro anche nel caso ci rubassero il computer: i documenti saranno infatti conservati.
Più si andrà avanti e più sarà difficile rinunciare a queste comodità ma il Cloud ha i suoi grandi limiti. Tanta praticità porta con sé sei problemi di sicurezza non trascurabili. Pensiamo al famoso fappening o, più recentemente, alla diffusione delle foto di Diletta Leotta. Per rubare queste immagini gli “hacker” non hanno violato i telefoni dei VIP: si sono limitati a scovare la password dell’account iCloud dove venivano automaticamente salvate. Occhio: non è una vulnerabilità del servizio ma un errore dei personaggi in questione che, oltre a usare password banali, non hanno attivato l’autenticazione a due fattori, che avrebbe reso molto più difficile il furto. Abbiamo citato iCloud ma lo stesso si può dire di Dropbox, Evernote e altri sistemi: se ci si affida a questi servizi, bisogna sapersi proteggere adeguatamente.
Pensare che basti proteggere la procedura di login però sarebbe ingenuo. Per quanto l’utente possa fare di tutto, è inerme di fronte a un attacco ai server. Improbabile che aziende di questo tipo siano vulnerabili? La cronaca ci dice di no. Di recente Yahoo ha dovuto ammettere che 500 milioni (!) dei suoi account sono stati compromessi. Tramite la botnet Mirai sono stati resi inaccessibili per un paio d’ore alcuni dei più importanti servizi di Internet. E potremmo andare avanti a lungo con gli esempi.
Il Cloud è una tecnologia comodissima, della quale è difficile fare a meno, se non impossibile. È però bene tenere a mente che non è la panacea di tutti i mali e che ha i suoi limiti: valutiamo sempre bene quali e quanti dei nostri dati dare in pasto a questo servizio. Soprattutto se vogliamo rimangano privati.