Anche se le startup non sono più una moda e quindi se ne sente parlare un po’ meno rispetto al biennio scorso, restano uno dei principali motori dell’economia degli ultimi anni.
O meglio, uno dei principali motori dei progetti economici di moltissime persone. Aprire una startup, per molti, è un sogno che si avvera: un’azienda propria, l’indipendenza economica, la libertà imprenditoriale. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
Quando finisce il sogno e ricomincia la realtà, però, bisogna affrontare i fatti.
Il problema è trovarli, questi fatti. Perché i dati sulle startup dicono tutto e il contrario di tutto. Secondo alcuni, moltissime chiudono. Secondo altri chiudono sì, ma è un fatto positivo perché vengono vendute (le famose exit) o accorpate. Secondo altri ancora non chiudono ma cambiano forma societaria.
Insomma, come sempre, ad ascoltare troppe campane si finisce come Jerome Klapka Jerome nel proverbiale passaggio di Tre Uomini in barca: ci si scopre tutte le malattie, tranne il ginocchio della lavandaia.
Questi dati fondamentalmente ci dicono una sola cosa: usare la parola Startup nel business plan non è sufficiente a darci migliori probabilità rispetto a definirsi comunemente piccola impresa. L’importante è dare una continuità e far sì che dopo i primi passi l’investimento a un certo punto porti i suoi frutti.
Vediamo insieme cosa serve per mettere in piedi una startup e farla diventare un’azienda solida.
Per avviare una startup serve un’idea. Ma non solo una buona idea. Dobbiamo pensare fin da subito al fatto che la nostra idea sia sostenibile. Certo, se guardiamo alle storie di successo che ci raccontano, alcune delle startup più clamorose degli ultimi anni contavano semplicemente sul fatto di “fare utenti” per attirare l’interesse dei big. Pensiamo, uno su tutti, al caso di Whatsapp. Perfetto: questo è esattamente il modello sbagliato. Primo perché arrivare a numeri interessanti è sempre più difficile, poi perché basare il successo della propria azienda sul possibile interesse che potrebbe suscitare in aziende più grandi equivale, sostanzialmente, ad affidarsi alla fortuna. Se il principio che ci muove è questo, ci conviene prendere il nostro capitale iniziale, andare dal tabaccaio e spenderlo tutto in gratta e vinci o biglietti della lotteria: avremo praticamente le stesse probabilità di successo, con un centesimo della fatica e delle notti in bianco.
Insomma, l’idea alla base di una startup deve sì essere buona e innovativa, ma soprattutto avere un orizzonte economico credibile. Regalare un’automobile elettrica a chiunque ne abbia una euro 1 o euro 0 è una buona idea e farebbe bene all’ambiente ma, ovviamente, non è sostenibile. Permettere alle persone di condividere i posti in auto per abbattere i costi di spostamento e ridurre il numero di auto circolanti è una buona idea che, progettata nel modo giusto, può essere anche sostenibile. Non è un caso se più di un’azienda si è lanciata su questo business.
Immaginiamo di avere superato questo primo passaggio: abbiamo un’idea buona, economicamente sostenibile e che ci permette di creare un prodotto o un servizio realmente vendibile. Ora è il momento di cercare e ottenere i fondi per partire. Ma prima di decidere come finanziare una startup, dobbiamo sapere che c’è un altro mito da sfatare: quello per cui basta una buona presentazione e il giusto atteggiamento per vederci aperte le porte dei finanziamenti e dei venture capital.
La pratica di proporre la sola idea si è guadagnata anche un nomignolo dispregiativo: vendere i Powerpoint, in riferimento a chi tenta, e in alcuni casi riesce, a ottenere fondi esclusivamente sulla base di un’idea sulla carta. Oggi, questa pratica ormai ha poco successo: come succede sempre, anche il mondo delle startup ha guadagnato consistenza, e anche i finanziatori più intraprendenti prediligono i progetti che hanno basi solide.
la parola d’ordine di questi anni è consistenza. Quindi, dando per scontato che ci sia l’idea, sia solida e pure sostenibile (anche dal punto di vista normativo e legislativo, non dimentichiamolo!), è indispensabile darle un’identità, su due fronti: quello imprenditoriale e quello comunicativo.
Dal punto di vista imprenditoriale quello che ci serve è un business plan cioè un piano strategico, dal quale emerga sia la sostenibilità economica, sia i valori unici della nostra startup. Questa è probabilmente la parte più complessa e meno entusiasmante del lavoro, nonché una di quelle in cui è indispensabile farsi aiutare da chi ha già esperienza nel settore. La stesura di un buon business plan infatti richiede molte competenze specifiche: da questo documento dipenderà il futuro della nostra azienda.
La nostra futura startup dovrà trasmettere la propria consistenza anche dal punto di vista dell’immagine. E qui ci sono alcuni elementi indispensabili. Senza bisogno di arrivare agli estremi di un corredo completo come se si trattasse di una compagnia consolidata e decennale, dovremmo comunque fare in modo di trasmettere il nostro progetto anche con la propria personalità e le proprie inclinazioni.
Qui entra in gioco l’immagine e, anche se si tratta di un progetto agli inizi, è indispensabile avere una buona presenza digitale, per raccontare al meglio il nostro progetto e dare le giuste informazioni a chi vuole approfondire dopo che lo abbiamo presentato.
E per colpire ed essere ricordati, anche naming e logo sono indispensabili.
Insomma, la consistenza del progetto e un business plan solido sono indispensabili. Ma nell’ecosistema delle startup di oggi non sono sufficienti. Bisogna anche farsi ricordare nel modo giusto.