Google Chrome, è il browser più diffuso al mondo. Un “patrimonio” che Google ha deciso di sfruttare anche utilizzando i dati di chi naviga. Questa volta però non c’è nulla di cui preoccuparsi. Google infatti raccoglierà solo alcuni dati, che serviranno per misurare la velocità di risposta dei diversi siti.
In pratica alcuni dati vengono raccolti in forma aggregata, per rivelare quanto impiegano le persone a visualizzare completamente i diversi siti.
Quindi non si tratta di dati personali, che in questo periodo sono nell’occhio del ciclone, ma semplicemente di statistiche di utilizzo anonime, che Google userà come parametro per valutare i siti.
La verità è che nessuno al di fuori di Mountain View lo sa con certezza. Ma dalle diverse dichiarazioni ufficiali delle persone che ci lavorano, si sa per certo che il tempo che il sito impiega a rispondere e la dimensione stessa della pagina Web, sono parametri che contribuiscono alla valutazione.
Pa semplificare estremamente, possiamo dire che se due pagine meritano la stessa posizione, “vince” quella più leggera e che risponde più velocemente.
A costo di sembrare ripetitivi, anche questo non era troppo chiaro. Del resto, Google non è troppo generoso nel rivelare i suoi segreti. Ma da ora sappiamo per certo che la velocità verrà misurata mentre gli utenti navigano normalmente.
Questi dati, peraltro, non sono “segreti”, ma facilmente raggiungibili attraverso Pagespeed Insights.
Secondo noi, e secondo voci decisamente più autorevoli, come quella di Moz assolutamente si. Prima di tutto perché permette una misurazione più affidabile rispetto a una simulazione. Poi, perché dimostra ancora una volta che anche i “grandi giocatori” stanno capendo che un approccio basato su macchine e algoritmi non risponde più ai bisogni delle persone.
Infine, dato da non sottovalutare, avvia i sistemi di valutazione automatici verso una fine ineluttabile.
Servizi come GTMetrix, lo stesso Pagespeed Insights o le decine di strumenti che si trovano in Rete infatti, per quanto indispensabili e strutturati, hanno un difetto comune: sono strumenti di misura, macchine.
E gli strumenti di misura e le macchine possono essere aggirati facilmente. Se il Datagate (e il vecchio dieselgate) ci hanno insegnato qualcosa, è che le macchine senza una intelligente gestione umana sono relativamente facili da ingannare.
Il che offre il fianco all’inevitabile: siti pensati appositamente per “passare il test” ma che poi alla prova dei fatti non sono così efficaci per gli umani. Il nuovo sistema di misura risolve anche questo problema.
Inoltre questo uso dei dati è decisamente più intelligente di quello che le aziende hanno dimostrato di fare fino a ora. Google con questa mossa ci mostra che i dati possono dire molto e sono sicuramente un patrimonio. Ma non è indispensabile scavare nella vita delle singole persone per averli a disposizione.