Siamo costantemente bombardati da inglesismi e neologismi, spesso usate per darsi un tono dando un nome nuovo a una cosa vecchia. Pensiamo alla figura del Growth Hacker, che altro non è un marketing manager che sfrutta canali di promozione più economici e moderni, sostituendo per esempio alla pubblicità in tv e radio l’uso dei social media. Il termine è stato coniato una decina di anni fa ma solo da qualche mese – dopo un annuncio di Coca Cola – ha iniziato a diffondersi in maniera prepotente. Quello che invece non è accaduto alla parola Gamification, coniata sempre un paio di lustri fa ma ancora oggi poco usata. Strano, perché a ben vedere il concetto di Gamification non è certo nuovo ed è una della basi del marketing.
La definizione è piuttosto semplice: la Gamification è l’applicazione di elementi tipici dei giochi in contesti non ludici. Troppo complicato? Semplifichiamo ulteriormente: avete presente la tessera punti del supermercato? Ecco, quello è l’esempio più comune di Gamification. Più il cliente fa acquisti e più guadagna punti che potrà investire per ottenere regali, sconti o prodotti in promozione. In questa maniera si stimola il cliente a tornare sempre nella stessa catena per godere dei privilegi e l’azienda guadagna sotto differenti profili spingendo l’uso della carte fedeltà: ottenendo dati sulle abitudini di spesa, fidelizzando i clienti e realizzando promozioni mirate che si discostano dal solito sconto o 3×2. Un po’ come accade per alcune carte di credito, che in base alle spese dei titolari garantiscono punti spendibili per alcuni tipi di acquisti, sconti su alberghi e viaggi aerei.
La logica dello sconto è sicuramente la più facile da comprendere ma non è l’unica. A volte gli obiettivi possono essere privi di valore monetario, quasi fini a se stessi. È il caso di portali come Tripadvisor che spronano i loro iscritti a proporre nuovi contributi dando distintivi virtuali. Hai recensito 20 ristoranti? Ti becchi il bollo di esperto, così come alla decima foto sbloccherai il distintivo di fotografo amatoriale. Il valore di questi riconoscimenti in termini economici è nullo, ma la percezione è forte, grazie anche alle tante mail che Tripadvisor invia ai suoi contributori per galvanizzarli. Mail semplici ma efficaci che cercano di stimolare ulteriori interazioni. Cose tipo “Ti manca solo una recensione per avere il distintivo Gran Visir dei Fotografi di Cibo”, oppure “Con 43.000 lettori ricadi nel 2% dei recensori più famosi di Roma: continua così”.
Soddisfazioni effimere, non più importanti di un “Mi piace” su Facebook, ma capaci di catturare l’interesse di una serie di utenti che, un po’ per “completare la collezione” un po’ per mera sfida, si faranno coinvolgere pur di ottenere queste pillole di gratificazione. Anche quando non c’è alcun premio in palio. Ecco perché ha senso valutare di integrarlo nella propria strategia. È un alternativa a continui solleciti pubblicitari e un modo più intrigante di tenere incollato l’utente.
Occhio però: anche in questo caso, il confine fra lo stimolare il pubblico e rompergli le scatole è molto labile. Proprio per questo motivo il fai da te, come in altri settori, rischia di rivelarsi controproducente.