Ecco come funziona il fact checking di Facebook - Hydrogen Code
giugno 18, 2018

Dalle ultime elezioni presidenziali in USA, il termine “fake news” ha visto una notevole impennata nelle ricerche su Google. Non è che in precedenza le persone credessero vera ogni cosa che girava online o sulla stampa, ma è innegabile che durante il periodo elettorale la questione dell’affidabilità delle informazioni ha iniziato a diventare un argomento di dibattito, sia sulla stampa, sia fra i cittadini.

Questo è accaduto perché il dibattito elettorale è stato in buona parte incentrato proprio su questo termine, quando entrambe le parti politiche tacciavano qualsiasi informazione non gradita come fake news, indipendentemente dal fatto che si trattasse di falsità acclamate o banali meme che sino al giorno prima sarebbero stati inquadrati senza dubbio alcuno come satira. Becera, volgarotta e basata su luoghi comuni, certo, ma questa è la satira ed è per questo che fa ridere.

Come mostra il grafico, le ricerche relative a fake news non si sono fermate coi risultati elettorali, segno che il dibattito è ancora estremamente attivo, sia negli USA sia nel resto del mondo.
Le fake news ovviamente c’erano anche in precedenza ma è solo di recente che sono state accusate di aver influenzato i risultati elettorali e, di conseguenza, da più parti i social network – Facebook in primis – sono stati accusati di essere responsabili di questa ondata di disinformazione.

Non stupisce che Facebook, in particolare dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, stia da tempo cercando di mettere una pezza. Di recente, l’azienda ha tirato le prime somme e spiegato come funziona il loro approccio al fact checking e che possiamo sintetizzare così:

1 – gli algoritmi, sulla base dei commenti degli utenti e altri segnali, identificano le informazioni potenzialmente false
2 – La palla passi ai fact checkers (umani) che valutano la veridicità della notizia
3 – Se la notizia è considerata falsa, la sua distribuzione nel News Feed viene limitata e chiunque cerchi di condividerla riceverà un messaggio dove si specifica che si tratta di un contenuti fuorviante.
4 – Se una pagina continuasse a pubblicare fake news, verrà ridotta la portata organica di tutti i suoi post, non solo quelli evidenziati come fuorvianti.

Sicuramente è positivo che agli algoritmi siano affiancate delle persone reali, ma questi passi avanti non rappresentano certo la soluzione definitiva, come specifica Facebook stessa. Affidarsi alle associazioni di fact checking è una comodità ma anche un limite (pensiamo alle teocrazie, senza sconfinare nelle dittature) e, soprattutto, è molto difficile stabilire il confine fra libertà di opinione e la falsità, fra la fake news nata per destabilizzare e la satira, che per sua stessa natura deve essere irriverente.

Proprio per questo Facebook offre la possibilità di ricorrere nel caso un post venga considerato una fake news, correggendo la notizia. Il fatto è che in questo caso si va a dare l’intera responsabilità della correttezza dell’informazione a un fact checker, che non è certo infallibile e potrebbe, inconsciamente o meno, spostare la linea di demarcazione che separa il sarcasmo dallo spaccio di bufale.

Per quanto gli sforzi di Facebook siano apprezzabili, ci chiediamo perché sia un social network a dover intervenire per porre rimedio ai danni causati da giornalisti che, al contrario di Zuckerberg o altri, hanno un codice deontologico da rispettare. Come possiamo pretendere che un’azienda globale possa riuscire lì dove hanno fallito istituzioni come la stampa o la politica locale?

Lasciare queste decisioni a un’azienda privata crea un pericoloso precedente anche perché si apre un’evidente asimmetria fra i colossi e le piccole realtà, fra i potenti e i normali cittadini. Una testata giornalistica così come un politico hanno armi più affilate e scudi robusti per costringere Facebook a fare marcia indietro nel caso il social abbia limitato e magari demonetizzato un loro contenuto. Tutti gli altri non hanno la sufficiente potenza di fuoco, né il tempo e il denaro, per difendersi da un “sopruso”, piccolo o grande che sia, come la limitazione della portata di un post.
A ben vedere, le più grandi fake news ci sono arrivate da politici e organi di informazione: siamo proprio sicuri che il fact cecking vada fatto sui social e non alla fonte?

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