Google gioca con la lunghezza degli Snippet. E noi non dovremmo assecondarlo - Hydrogen Code
maggio 28, 2018

Abbiamo già parlato di come gli Snippet, le anteprime testuali che Google mostra dei siti, si fossero allungati per rispondere meglio alle esigenze di ricerca delle persone, almeno secondo le intenzioni attribuite al motore di ricerca. Sfortunatamente, dobbiamo tornare sui nostri passi.

Non per un errore o per incuria, ma semplicemente perché Google ha nuovamente ridotto la lunghezza degli snippet. La conferma ufficiale è arrivata via Twitter da Danny Sullivan, su richiesta diretta di Barry Schwartz.

Il primo aspetto grottesco della vicenda è il fatto di dover raccontare cosa accade sui social media, come se ci occupassimo di gossip.

Il secondo è che, nello scoramento generale del mondo degli esperti SEO, la Rete sta già provando a reagire a questo evento. Dopo le pagine spese pochi mesi fa per raccontare la lunghezza ideale di uno snippet (ci siamo cascati anche noi), nei giorni scorsi il mondo SEO si è prodigato, con rassegnazione, a prendere atto di questo nuovo cambiamento, riscrivendo praticamente da capo quello che aveva appena finito di aggiornare sulla nuova lunghezza delle meta description.

Insomma, abbiamo riflettuto e deciso di condividere il pensiero: questa rat race dipendente dalle decisioni di una singola impresa ha davvero senso?

 

Guardare più lontano, vivere meglio

In pochissimo tempo, insomma, ci siamo scontrati più volte con alcune consuetudini che, se analizzate a mente fredda, sono quasi irreali. Non c’è molta differenza in fondo, fra l’illogicità di passare il tempo a riscrivere per la terza volta le meta descrizioni del nostro sito e spendere due settimane per spiegare a una piattaforma la differenza fra un verbo e un aggettivo.

Quindi, rinnoviamo quanto abbiamo scritto qualche giorno fa: quando le cose iniziano a esulare dalla logica, è ora di smetterla.

Non siamo ingenui, sappiamo bene che Google è indispensabile, così come lo è Facebook. Ma forse è il momento di iniziare a guardare le cose con occhio più distaccato. E di renderci conto che se l’atteggiamento dei professionisti della comunicazione fosse più simile a quello dei professionisti veri e meno simile a quello dei cani di Pavlov, probabilmente anche gli Over The Top a un certo punto dovrebbero rivedere le loro politiche.

Utopia? Forse. Ma basti guardare quanto sono diventate più reattive ai feedback degli utenti alcune aziende, anche nel passato recente, quando hanno iniziato a perdere punti di fatturato.

 

Come siamo arrivati alla follia del balletto degli snippet?

Pensandoci, ci sono due scenari possibili, entrambi plausibili e nemmeno troppo complicati.

Il primo è piuttosto ovvio, e ha a che fare con lo scenario generale del Web. La SEO è una professione relativamente recente, e le ricerche metodiche sono ancora più recenti. A memoria, non è così eccezionale che Google effettui qualche modifica di tanto in tanto. La differenza è nella risonanza che queste hanno.

Abbiamo già ribadito in più occasioni il nostro punto di vista: quando non è possibile essere consistenti in modo diverso, ci si affida in modo esasperato ai tecnicismi. E la ricerca parossistica del tecnicismo, conduce a questo tipo di isterie di massa, una specie di butterfly effect in cui pochi caratteri di differenza scatenano un tornado.

L’altro scenario è quasi fisiologico: la storia ci insegna che nel mondo digitale nessun centro di potere è infinitamente stabile. Il fatto che prima o poi nascano concorrenti degli attuali “Big” è solo questione di tempo.

Consci di questo, gli attuali leader del mercato fanno più ricerche ed esperimenti rispetto al passato, per prevenire eventuali attacchi della concorrenza.

Niente di strano, la storia dell’innovazione è fatta di corsi e ricorsi storici. Certo è che volendo leggere quello che ci raccontano i numeri, la leadership dei colossi è ancora evidente, ma non così solida come in passato (pensiamo per esempio a Bing, Yandex, Baidu, ma anche a DuckDuckGo, Ecosia o Qwant).

 

Quindi, cosa dobbiamo fare?

Come abbiamo scritto nell’incipit, è il momento di iniziare a progettare un piano di fuga da Google, Facebook e gli altri big. Cerchiamo di non essere ingenui, tuttavia: non c’è nessuna “apocalisse” in arrivo.

Ma guardare ai prossimi cinque anni, una lunghezza ragionevole per una strategia aziendale, non ci mostra un futuro così definito.

Quindi, la cosa migliore da fare è smettere subito di seguire con esasperazione ogni minima variazione, limitandosi nel caso a quelle più rilevanti. Perché?

Molto semplicemente, gli annunci di Google e degli altri difficilmente trovano applicazione immediata e rigorosa.

Tre anni fa sembrava che nel giro di sei mesi i siti senza SSL, cioè non in HTTPS, sarebbero spariti dai risultati di ricerca. Siamo al 2018 e forse la cosa accadrà entro la fine dell’anno.

Più di recente, sembrava che l’introduzione di un adblocker integrato in Chrome avrebbe annichilito la pubblicità sul Web. L’adblocker è arrivato, alzi la mano chi se ne sarebbe accorto se non fosse uno specialista del settore.

Insomma, per rifarci a un vecchio adagio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, anche se sei Google.

Insomma, torniamo al tema principale di questa rubrica: usare le buone pratiche SEO con intelligenza, senza esasperazioni e soprattutto ricordando che quello che è davvero importante, una volta abbracciate le pratiche essenziali, è avere qualcosa di rilevante da dire.

Insomma, se state pensando a come investire il budget dei prossimi sei mesi, dimenticatevi della lunghezza degli snippet e investite in ricerche da pubblicare, contenuti da migliorare, infografiche, una mailing list di qualità.

Insomma, tutto quello che ci allontana dall’occuparci di sofismi tecnici.

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