I social e la fiera delle vanità - Hydrogen Code
novembre 6, 2017

Chi vive sui social dà ai “Mi piace” un valore enorme. Sono soprattutto i più giovani a subire il fascino di questi numeri, a dargli un’importanza superiore a quella che davano i paninari alla griffe dei loro vestiti. Se un tempo contava esserci, oggi non basta più avere un profilo per guadagnare status sociale: ci vogliono tanti fan, una cornucopia di cuoricini, pollici in alto e altri segni di approvazione. Questa, per lo meno, è la percezione che hanno in molti dei social e che – per alcuni versi – corrisponde a realtà. Del resto sono queste le metriche che fanno spiccare gli influencer dalla massa di persone comuni e che consentono loro di essere pagati con cifre a 4 zeri per una foto su Instagram.  

Date queste promesse non ci stupisce che la maggior parte dei clienti, quando si affidano alla nostra agenzia per delle attività di social media, siano interessati prevalentemente alle metriche di vanità, a questi numeri che dovrebbero rappresentare lo status, la qualità e la capacità di essere al passo coi tempi. Chiedendo ai clienti quali obiettivi vogliono raggiungere, la risposta tipica è “Like come se piovesse”.

Non hanno tutti i torti: se il successo di personaggi come Vacchi o la Ferrragni è interamente dovuto al loro successo sui social, questi “Like” dovranno pure rappresentare qualcosa. Nella mente della maggioranza delle persone sono degli attestati di stima ma, come ben sa chi opera nel settore, possono voler dire tutto e niente. Se per un influencer sono a tutti gli effetti una moneta di scambio, per la maggior parte delle aziende comuni non sono altro che una metrica di vanità, poco o per nulla significativa. Naturalmente un colosso punterà all’influencer con più follower per la sua campagna pubblicitaria ma chi deve scegliere un’officina, un negozio di alimentari o un ristorante sarà piuttosto indifferente a questo parametro. Quando la gente vuole sapere dove si mangia una buona pizza consulta Tripadvisor, non Facebook o Instagram, del resto.

Questo significa che, tranne rari casi, una presenza social sia inutile? Tutt’altro! Un canale è inutile se tutti gli sforzi sono mirati a ottenere “Mi Piace” tralasciando tutto il resto. La prima domanda che facciamo ai nostri clienti è cosa vogliono raggiungere con gli investimenti social (al di là dei Like) e – molto spesso – non sanno cosa dirci. Se tutti hanno realizzato che non puoi non esserci, pochi si rendono conto che un profilo social è uno strumento dalle mille sfaccettature. Utile a cosa? A fornire assistenza ai clienti tramite chat, per esempio, ma anche a mostrare i propri lavori – o il proprio modo di lavorare – in maniera efficace. Se poi a monte c’è un sito di appoggio, allora Facebook e simili possono essere ottimi strumenti per portargli traffico. 

Ciò che i social permettono di fare bene è promuovere beni e servizi: grazie ai potenti strumenti di targetizzazione è possibile far arrivare il messaggio solo a un pubblico potenzialmente interessato, il tutto a cifre decisamente competitive rispetto a giornali, TV e radio. E qui casca l’asino. Perché sono ancora parecchi coloro che vogliono essere sui social e pretendono di raggiungere decine di migliaia di persone senza investire. Per assurdo, sono più favorevoli a comprarsi qualche migliaio di like da persone inesistenti che a investire qualche centinaio di euro in sponsorizzazioni. Spesso, le stesse persone che non battono ciglio nello spendere migliaia di euro all’anno per un cartellone pubblicitario (i cui risultati non sono misurabili), sono scettiche sull’investire una frazione di quel denaro per un’attività di sponsorizzazione su Facebook, dove si può tracciare con precisione tutto quello che accade e adattare la strategia di conseguenza, per ottenere il massimo con il minimo investimento. 

Se la febbre per i like è un fenomeno globale, la difficoltà di comprendere a pieno lo strumento è soprattutto italiana. Il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di tante piccole e medie imprese abituate a navigare a vista, ad avere una scarsa dimestichezza con l’analisi dei dati, soprattutto quando iniziano a essere tanti e complessi. Il compito di far capire al cliente questa complessità e aiutarlo a districarsi dovrebbe essere delle agenzie e molte, effettivamente, lo fanno. Certo, i costi per il cliente iniziano a salire parecchio rispetto al “cugino” che ti cura la pagina. Anche questo ha un impatto, considerando che tutti vogliono essere sui social ma pochi sono disposti a investire le cifre necessarie per un lavoro che abbia un’utilità, che vada oltre le metriche di vanità che può saziare chiunque acquistando qualche pacchetto di “Like”.