Macchiare la reputazione di un’azienda è una cosa estremamente semplice, oggi. Basta una notizia ad effetto sui social e tutti iniziano a dare addosso al “nemico”, solitamente senza porsi domande su come sono andati i fatti. Come è successo è Ikea, che dal 28 di novembre è esposta al pubblico ludibrio sui vari quotidiani, e in particolare su Facebook, per aver licenziato una dipendente. Non una dipendente qualsiasi, ma una mamma separata con due figli, uno dei quali disabile. Secondo le prime ricostruzioni giornalistiche, il motivo era causato dal fatto che non si riuscivano a conciliare un accordo fra le esigenze della madre e i turni di lavoro.
Una notizia che raccoglie facilmente lo sdegno del cittadino che, come da copione, non perderà un secondo per analizzare la questione ma preferirà urlare la sua rabbia il più forte possibile. Possibilmente su un social che tende ad amplificare ulteriormente notizie come questa: Facebook.
Ai tanti attacchi dei cittadini contro la politica di Ikea si aggiungevano quelli dei Social Media Manager che criticavano i loro “colleghi” di Ikea per la totale assenza di risposte a quello che ormai era diventato uno shitstorm. Secondo alcuni, l’unica era ammettere l’errore e scusarsi, senza perdere tempo a valutare la situazione. Perché la reputazione è tutto, online.
Come tutti sappiamo, però, la fretta è cattiva consigliera e i dirigenti di Ikea hanno preferito analizzare la situazione prima di lanciarsi in dichiarazioni affrettate. Il risultato è che il giorno successivo viene affidato alla stampa un comunicato che viene pubblicato prima su ADNKronos e ripreso poi da altre testate, come Lettera43. A sentire l’azienda la questione è molto differente da come è stata raccontata.
In questa sede non è importante stabilire la verità (ci sono i tribunali per questo) ma ci preme ragionare sulla strategia di comunicazione dell’azienda, che si concretizza nel suo comunicato stampa, inviato alle varie redazioni e pubblicato sul sito aziendale. Lo stesso comunicato che i social media manager del colosso svedese continuano a postare nei commenti in risposta a chi attacca l’azienda.
Una strategia non molto originale né efficace, soprattutto se consideriamo che i social media manager dell’azienda lo strumento lo conoscono bene, come hanno dimostrato in occasione dei mondiali. Se criticare la scelta è facile, suggerire soluzioni migliori non è banale in questo contesto: una risposta errata può compromettere le contrattazioni fra l’azienda, la dipendente in questione e i sindacati. I social media manager, tra l’altro, possono fare poco in assenza di specifiche indicazioni dalla direzione. E probabilmente il nocciolo della questione è proprio questo: l’assenza di un piano di emergenza da applicare in situazioni come questa. Un problema comune a molte aziende, grandi o piccole che siano: le crisi vengono affrontate solo quando esplodono, con la conseguenza di fronteggiarle impreparati. Diffondere un comunicato e postarlo sotto ogni commento di critica è un approccio obsoleto e freddo, inefficace se l’obiettivo è cercare di far emergere le ragioni dell’azienda sui canali social ma è anche la soluzione più veloce da mettere in piedi in assenza di una seria politica di crisis management.