Negli ultimi dieci anni le grandi città come Milano sono cresciute esponenzialmente.
Lo skyline ha iniziato a prendere forma diversa, a trasformarsi come quel famoso episodio di Fantasia 2000 dove, sulle note di George Gershwin, si delineano i contorni dei grattacieli di New York.
Abbiamo iniziato a costruire sempre più in alto, nella speranza di creare dei ponti tra la terra e le vette del business. Una volta raggiunto il cielo ci siamo resi conto che alle nostre idee di sviluppo mancavano le fondamenta. Alla base dei nostri sogni per un’economia migliore non c’erano le basi da cui partire.
È bastata una pandemia per farci rendere conto che era il tempo di scendere dai nostri piedistalli di vetro per iniziare a costruire tutto da capo.
Siamo davanti ad un giro di boa della storia, dove nulla sarà come prima. Un nuovo 11 settembre che cambierà per sempre il nostro volto. Non è più un mistero, infatti, che questo periodo di quarantena forzata abbia modificato per un tempo molto lungo la nostra percezione della realtà. Davanti a noi si apre un’ epoca che sarà lenta a sparire.
Cerchiamo di fare ordine per capire cosa è cambiato e cosa è necessario che cambi, prima di dichiarare le nostre torri d’avorio un fallimento esistenziale.
Per prima cosa dobbiamo ricordare che l’essere umano ha raggiunto i più grandi traguardi tecnici e culturali proprio grazie ad un innato istinto di sopravvivenza. Già i nostri antenati hanno acquisito il basilare istinto di adattamento ai cambiamenti quando abbandonati i propri siti d’origine si sono spostati verso nuovi territori in cerca di cacciagione e terre da coltivare. Tutto questo li ha portati a esplorare nuove vie di sopravvivenza a causa del clima che cambiava di territorio in territorio e con esso, la flora e la fauna. Una nuova dieta, nuove abitudini e nuove sfide da affrontare. Tutto questo spirito di adattamento ci è stato trasmesso nei secoli e, in teoria, dovrebbe funzionare ancora oggi.
Negli ultimi cinquant’anni la società si è evoluta ad una velocità inimmaginabile grazie a nuove scoperte scientifiche, al fiorire di valori democratici e di giustizia e, sembra strano da dire, grazie sopratutto all’arrivo dei social network. Tutta questa ansia di rincorrere il futuro ci ha aiutato a progredire e allo stesso tempo ci ha abituati ai ritmi frenetici che ormai compongono gran parte delle nostre giornate. Persino la percezione del tempo è stata modificata.
Tutto parte dal marketing. Negli ultimi anni ogni marchio ha puntato la propria strategia di marketing su due elementi: il prezzo basso e il “fattore tempo”. Proprio sul secondo interviene questa riflessione. Siamo abituati ad ottenere tutto e subito in tempi record. Spedizioni più veloci, cibo cotto in pochi minuti e informazioni ottenute con un semplice click. Tutto deve essere reperibile nell’immediato. Questa velocità così innaturale per gli esseri umani rischia di incepparsi e implodere su se stessa.
Ora si apre una nuova sfida per l’umanità che ha a che fare con il fattore “tempo”. È arrivato un virus, che non pensa, non ragiona e non comunica con noi. Segue dei ritmi diversi dai nostri che non sono dominati dal periodo di fatturazione o da scadenze fiscali. Questo virus si prende il suo tempo, quello che la natura ha decretato essere il ciclo vitale e il ritmo giusto perché sorga, cresca e poi scompaia o si trasformi.
Se sui social siamo abituati a seguire un nuovo influencer una volta a settimana o seguire un caso di cronaca nera in TV giusto per un paio di mesi, questo virus ci racconta una storia diversa. Ci dice che sarà con noi per molto tempo, forse anni.
Sarà quindi necessario modificare la nostra scala di valori proprio a partire dalla qualità del tempo che viviamo.
Per fare business ci sarà bisogno di modificare la propria strategia non già dalle tempistiche di produzione e consegna, ma dalla qualità della vita che fornisco ai dipendenti e ai clienti.
Saremo capaci di cambiare i nostri ritmi ed adeguarci a tutto questo? Avremo la forza di non “dimenticare” tanto in fretta, così come facciamo col gossip e gli scandali dei politici?
È arrivato il momento di prendersi del tempo.
Bisogna che tutti rallentiamo un attimo per cedere al passo della natura. Il rischio, altrimenti, sarà quello di tornare a costruire un sistema inefficace, come quello che a marzo è stato colpito di sorpresa dal lockdown.
Lo smart-working è un’invenzione antica. Basti pensare che il termine economia deriva dal Greco oikia che significa “casa”.
Nel corso dei secoli gli interessi economici degli esseri umani infatti sono ruotati intorno alle proprie abitazioni. Pensiamo alle grandi ville romane da dove i nobili gestivano le loro attività agricole e di commercio. Oppure alle famose case-bottega delle città medievali dove tra il letto e il focolare, c’erano il torchio e il banco da lavoro.
Il modo di fare economia come lo conosciamo oggi è nato solo di recente, poco più di un secolo fa. Quando in seguito alle due rivoluzioni industriali, sono iniziate a sorgere le grandi fabbriche che hanno spostato la classe operaia dai campi e dalle botteghe in luoghi di lavoro condivisi. Non a caso il co-working come concetto nasce nelle fabbriche.
Oggi la dimensione del lavoro si è ulteriormente spostata. Dagli uffici si è ritornati alla vita in casa.
Siamo ritornati a percepire le mura domestiche come elemento essenziale della nostra vita. Tutto ciò che al mattino ci lasciavamo alle spalle appena salivamo sul binario della metro, ora ci è rimbalzato addosso. Parliamo di cose come: cucinare piatti caldi, vedere la tv con i propri familiari, fare l’amore col proprio partner; ma anche cose negative quali: vecchi rancori, rapporti ormai incrinati e violenza domestica.
Persino le religioni, da sempre uno dei maggiori collanti sociali, hanno cambiato volto. Non c’è più necessità di recarsi in chiesa o in moschea ma basta accendere un computer e pregare nell’intimità di casa.
Ancora adesso, che la quarantena è finita da diversi mesi, tutte queste abitudini non sono cambiate. Le liturgie sono spesso online, le conferenze si fanno su Zoom e le lezioni universitarie in molti casi saranno telematiche per tutto il prossimo semestre. Anche in questo caso le cose da cambiare sono molte. Parliamo di nuove necessità formali per l’uomo:
• leggi sul lavoro che tutelino il diritto dei dipendenti di una azienda a delineare in maniera chiara la differenza tra spazio di lavoro e spazio casalingo;
• leggi che tutelino maggiormente gli indifesi che nell’intimo delle case subiscono vessazioni e abusi da parte dei loro congiunti;
• un’economia capace di riformulare il mercato in base alle nuove prospettive di vita dei dipendenti e dei consumatori;
• delle strategie di marketing che sappiano comunicare con una società che è appena cambiata del tutto.
Come dire…si chiude una porta e si apre un portone. Ogni evento storico muta la società ma non per questo ne decreta la fine. Abbiamo visto che se da una parte gli uffici iniziano a svuotarsi in nome dello smart-working, dall’altro iniziano a ripopolarsi i cortili delle case. Ciò significa che niente pone fine alla vita ma che tutto evolve in qualcosa di nuovo.
È proprio dalle novità che si pongono davanti che è necessario partire per riformulare il nostro futuro.
La più grande sfida che il business sta affrontando in questo periodo passa proprio per la comunicazione.
Negli ultimi mesi il modo di comunicare tra le persone è cambiato.
Tra colleghi si comunica per messaggio, abbandonando l’antico rito del caffè alla macchinetta. I clienti preferiscono videochiamare piuttosto che venire in sede per la riunione. Metà dei dipendenti lavora a diverse centinaia di chilometri dalla casa madre e gli sfondi delle chat in riunione spaziano dalle coste del mare salentino alle vette delle Dolomiti trentine. Parliamo di un mondo in cui il distanziamento è l’unica forma di avvicinamento concessa.
Abbiamo creato un paradosso mai visto nella storia.
Un paradosso dai toni abbastanza noiosi se pensiamo al fatto che la comunicazione, oltre a cambiare, si è omologata. Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una serie di pubblicità dal tono di voce piatto e sempre uguale. Tutta la narrazione verteva sulle solite frasi “andrà tutto bene” e “io resto a casa”. Le stesse frasi ripetute dai brand più volte al giorno e sempre allo stesso modo. Nessuna grande azienda ha avuto il coraggio, approfittando dei cambiamenti forzati, di dire qualcosa di diverso e fuori dal coro. Chi lo ha fatto, chi ha cercato di cambiare le cose è rimasto nascosto o inascoltato.
Mentre siamo ancora in preda al panico per il futuro e l’affanno per la rincorsa alla normalità non ci da tregua, tutto intorno a noi sta cambiando in maniera definitiva. Di fatto, noi non sappiamo cosa fare.
Questo è il motivo che dovrebbe spingere la nostra società a investire nella ricerca di nuovi scenari. Non basta semplicemente adattarsi al cambiamento. È necessario evolversi per rendere questo cambiamento qualcosa di positivo e produttivo per il futuro. Insomma in poche parole: BISOGNA EVOLVERE PER PROGREDIRE.
Il business è un ecosistema delicato, frutto di una selezione naturale. Possiamo dire che il Covid lo abbia influenzato più degli esseri umani stessi.
Perché un’azienda sopravviva è indispensabile che modifichi il suo sguardo, i suoi valori e il suo punto di vista.
Bisogna adattarsi a nuove forme di comunicazione tra esseri umani per posizionarsi in maniera intelligente sul mercato.
Solo chi riuscirà a capire per primo dove e come la gente vive in questo periodo, riuscirà a portare dei risultati positivi nel prossimo futuro.
Tutti coloro che resteranno indietro, ingabbiati in delle visioni produttive ormai vecchie e utilitaristiche, vedranno crollare i loro progetti in via definitiva.
Chiunque invece avrà l’umiltà di scendere dalla cupola per esaminarne le basi avrà lo stimolo per vincere.
Noi di Hydrogen da più di dieci anni siamo alla ricerca di questo stimolo, quella voglia di tornare al “punto zero” dei nostri clienti per adattare il codice genetico delle loro attività affinché parlino ad una società in costante evoluzione.
Ascolto continuo, ricerca sociologica e antropologica, empatia.
Questi sono i pilastri sui quali vogliamo innalzare la nostra torre al cielo.