Impresa Digitale - Servono i digital store? - Hydrogen Code
dicembre 13, 2017

 

Il ranocchio dentro il pozzo non conosce l’oceano.

(Proverbio giapponese)

 

Partiamo con una considerazione molto cinica: in Italia le piccole e medie imprese fanno gola ai colossi del digitale, per una ragione molto semplice: costituiscono una fetta importante del mercato. E, nell’immaginazione dei responsabili del fatturato, possono essere catturate trattandole di fatto come un cliente privato: a fronte di una quota mensile, gli si fornisce un servizio, con il minimo necessario di assistenza e supporto. Del resto, l’Italia è la nazione in cui basta aggiungere la dicitura “business” a un qualsiasi servizio per rivenderlo alle aziende al doppio o al triplo del prezzo ai privati, conservando la stessa qualità, come ci hanno insegnato quattro lustri di connessioni a Internet scadenti.

In questo panorama, sempre più “grandi” del digitale, in particolare le telco locali e alcune aziende provenienti da altri settori del marketing di massa, offrono sempre più soluzioni digitali “a pacchetto” per la creazione dei siti Internet aziendali, degli ecommerce, per la gestione dei social media e così via.

Soluzioni digitali in batteria… perché?

Soluzioni apparentemente semplici, abilmente mascherate: creare store digitali che somigliano ad App Store fa immaginare la stessa semplicità d’uso. Sfortunatamente, si tratta si soluzioni che di realmente efficace hanno solo la capacità di separare gli imprenditori dal loro denaro con la stessa spietata efficienza del macello di Cloud Atlas.
Perché? Semplicemente, come abbiamo visto diverse volte, c’è una enorme differenza fra la semplicità apparente e quella reale del mondo digitale. Semplificando all’estremo, possiamo dire che stringere una vite è molto facile, sapere quale stringere un po’ meno. Mentre lo scopo di queste piattaforme è quello di venderci una bella scatola di viti e, se siamo fortunati, il bignami di “falegnameria for dummies”. Ecco perché, come agenzia di branding, non possiamo che dare alle imprese un accorato consiglio: sono soluzioni che possono avere un interesse, ma solo per chi ha la possibilità di avere personale interno dedicato. Altrimenti, il rischio è quello di ricadere nella solita trappola dei servizi acquistati con poco investimento e mai sfruttati. La chimera di potersi costruire in casa il sito web, l’ecommerce, il piano di comunicazione e magari anche l’infrastruttura informatica per i backup direttamente dal computer dell’ufficio è splendida,. Se trascuriamo il dettaglio che qualcuno deve comunque investire il proprio tempo per comprendere e utilizzare questi strumenti.
Il tutto senza considerare che prodotto standard significa soluzione standard. Quindi, il nostro meraviglioso sito sarà uguale al meraviglioso sito di un’azienda a 100 km di distanza, se siamo fortunati, o del nostro concorrente se abbiamo sfortuna. Insomma, non avremo nulla per fare la differenza.

Che fine fa la nostra personalità?

Sparisce, semplicemente. Perché, come la storia della tecnologia e della comunicazione ci insegnano, produzione in serie e manifestazione di individualità non vanno d’accordo. Se vogliamo lavorare anche sul branding, sulla riconoscibilità della nostra azienda, partire da una piattaforma pensata per noi e per diecimila altre aziende non è di sicuro l’idea migliore. Se vogliamo comunicare, esiste un solo vero comandamento: quello che facciamo deve distinguerci, renderci unici e riconoscibili.

Gestione dei social… con i contenuti di altri?

Prendiamo per esempio uno strumento di cui, in agenzia, abbiamo sentito la promozione per radio in questi giorni. La pubblicità suonava più o meno come “Con il servizio XYZ avrai sempre notizie e contenuti freschi per la tua pagina Facebook”. Funziona più o meno così: l’imprenditore paga il servizio, poi attraverso un pannello sceglie una serie di “fonti”, (banalmente, dei siti che forniscono il servizio di feed RSS) e il sistema si occupa di pubblicare gli articoli (o le foto) sulla pagina. Ora, al di là del fatto che si può fare la stessa cosa gratuitamente con servizi come IFTTT, Zapier o il “nuovo gatto” Microsoft flow, lo scenario sarebbe divertente, se lo prendiamo con lo spirito del Jocker di Batman.
Poniamo che il sito XYZ posti notizie imperdibili per i produttori di bulloni. Tutti i produttori di bulloni inseriranno il sito XYZ nel loro feed. Domani mattina, tutte le pagine social di tutti i produttori di bulloni pubblicheranno la stessa notizia. Ora, dando per scontato che il sistema riconosca i giusti crediti agli autori originali del post, se il gestore del sito XYZ ha una sua etica, ringrazia per il regalo in termini di visite e fama. Se, come l’antieroe di cui sopra vuole solo veder bruciare il mondo, farà due studi, capirà quando gli articoli gli vengono “presi in prestito” e farà in modo che quelli che finiscono sulle pagine di altri siano sponsorizzati, pieni di affiliation marketing o peggio. Tralasciando il fatto che le pagine di tutti i produttori di bulloni saranno uguali, chi ottiene un reale vantaggio? Oltre naturalmente all’azienda che ci ha venduto il “miracoloso” servizio?
In questo scenario, solo una cosa vince: l’irri
levanza dei contenuti che, nella migliore delle ipotesi, non aggiungeranno nulla al nostro marketing. Nella peggiore, danneggeranno in modo irreparabile la nostra attività di branding.

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