Chiedere è vergogna di un momento, non chiedere è vergogna di una vita.
(Proverbio giapponese)
Se esistesse una classifica dei luoghi comuni da sfatare nel campo della trasformazione digitale, ce ne sarebbe uno in cima alla lista. Diciamolo senza troppi giri di parole, alzi la mano chi non ha mai sentito dire che “il digitale costa un sacco di soldi”.
Niente di più sbagliato. La verità è che, come tutti i servizi, il costo è funzione di una tale quantità di parametri che il listino può davvero variare di ordini di grandezza. Lungi da noi l’idea di parlare di listini prezzi, o stabilire quale sia un valore giusto o sbagliato per una prestazione, ma c’è un tema che è assolutamente vero a prescindere dalla lunghezza dell’assegno che l’azienda vorrà staccare.
Anche perché una delle caratteristiche tristemente note agli esperti di digitale è che l’innovazione, in particolare quella digitale, viene sempre percepita come dispendiosa.
La risposta è semplice, quasi banale, e risiede nella sua grande forza. Chi lo vive come agenzia di comunicazione o di consulenza sa perfettamente che uno dei suoi più grandi vantaggi è la sua intangibilità, la caratteristica che permette la circolazione rapida dei dati e delle informazioni.
In altre parole, se possiamo ordinare una pizza per la cena mentre siamo affamati in cima a una montagna durante una giornata di trekking lo dobbiamo al fatto che i bit sono intangibili e possono viaggiare a cavallo degli elettroni, i quali permettono di trasmettere un segnale in modo istantaneo.
Piccola curiosità: in realtà gli elettroni si spostano molto più lentamente della corrente e pure in verso contrario a quello che pensiamo, ma il risultato non cambia.
Il problema di lavorare con i bit invece che con gli atomi è che il nostro lavoro non si può, per esempio, “pesare”.
Spieghiamo con un esempio. Immaginiamo che il nostro sito Internet aziendale abbia raggiunto cinquantamila persone in un anno. Leggere 50.000 su uno schermo fa un certo effetto ma non ci permette di avere le idee abbastanza chiare. Cinquantamila persone sono la popolazione di un piccolo capoluogo di provincia, o di un quartiere di una metropoli. Se immaginiamo di metterle tutte insieme, ci vuole uno stadio o un palazzetto dello sport. Ed ecco che improvvisamente il valore del digitale è più chiaro.
Facciamo un esempio ancora più semplice: se immaginiamo di aver “servito” le stesse persone con metodi tradizionali, ci sarebbero stati necessari 50.000 volantini. Semplifichiamo dicendo che ciascuno ha un peso di 10 grammi. Significa mezza tonnellata di carta. Ecco spiegato l’arcano: il cervello umano funziona in modo curioso, e vedersi recapitare un pallet EUR di carta in azienda dà un senso di appagamento maggiore rispetto a leggere un numero su uno schermo. Tutto comprensibile. Fino a quando non si arriva al pensiero, errato e terribile, che il digitale non serva a nulla.
Naturalmente ogni azione dovrebbe rientrare in una strategia, ma anche gli esperimenti aiutano alla transizione digitale e soprattutto una maggiore consapevolezza. Se la nostra azienda si sta avvicinando al digitale, probabilmente non avremo ancora pensato a una presenza online, nemmeno geografica. Bene. Facendoci aiutare da un esperto, verifichiamo le nostre proprietà, per esempio su Google Maps, su Tripadvisor (se è coerente con il nostro modello di business) e sugli altri portali simili.
La prima sorpresa sarà che, probabilmente la nostra azienda è già presente, perché qualcuno, in qualche modo, l’avrà segnalata. Se ci sono recensioni o commenti, questa sarà la seconda sorpresa. Si tratta di persone vere che, magari senza nemmeno conoscerci, hanno usato gli strumenti digitali per entrare in contatto con la nostra azienda, o fornire un servizio alla comunità.
E se iniziamo a seguire nel modo giusto i profili aziendali online, vedremo che questi risultati si moltiplicheranno rapidamente. Questo è il vero, e inestimabile, valore aggiunto dell’innovazione digitale: la capacità di creare nuove relazioni.
