Internet sta diventando sempre più costoso - Hydrogen Code
giugno 25, 2018

Inizialmente Internet era interamente gratis. Fatta esclusione per il costo dell’abbonamento, negli anni 90 tutti i contenuti erano totalmente gratuiti. Col tempo hanno iniziato ad approdare anche le grandi realtà, soprattutto editoriali, che hanno capito subito una cosa: non potevamo applicare lo stesso modello di business che applicavano nel mondo “reale”. Nessuno avrebbe pagato per leggere un articolo di un quotidiano, così come non lo avrebbe fatto per guardare qualche youtuber dire la sua. Si è sempre dato per scontato che i contenuti fossero gratuiti e di conseguenza tutte le aziende hanno dovuto fare i conti con questa singolarità del medium, cercando di monetizzare da qualche altra parte, solitamente, tramite la pubblicità. Non che siano mancati esperimenti coi paywall, ma nella maggior parte dei casi, sono falliti.

Solo negli ultimi anni, complice il lancio di iPhone e della nascita degli app store, il pubblico ha iniziato ad abituarsi a dover investire del denaro, anche solo piccole cifre, per poter avere accesso a qualche gioco o a servizi come Netflix e Spotify. Un’economica che muove miliardi ma è ancora nella sua infanzia, che coinvolge solo una piccola parte di chi pur essendo costantemente online investe per ottenere in cambio contenuti. In tanti hanno accolto con favore l’e-commerce e si fanno arrivare a casa di tutto, dalla spesa all’abito elegante, ma convincere il pubblico a investire sui contenuti è tutto un altro discorso. Lo sanno bene gli editori, che vedono solo una minuscola fetta del loro pubblico pagare per accedere a tutti i contenti di un quotidiano online. Lo sa ancora meglio Amazon che per spingere i suoi contenuti, come quelli di Amazon Prime Video, deve ricorrere al cavallo di troia della consegna gratuita, a fronte a un abbonamento annuale che continua ad aumentare (negli USA per Amazon Prime siamo abbondantemente sopra i 100 dollari, contro i nostri 36 euro).

A dispetto di queste difficoltà, tutto il web sta però migrando verso la produzione di servizi a pagamento o, in alternativa, a un modello ibrido, come Spotify che offre una versione gratuita del servizio, limitata nelle funzioni e interrotta dalla pubblicità.

Youtube, per esempio, ha già lanciato Youtube Music e Youtube Premium, il primo che permette di ascoltare la musica senza interruzioni pubblicitarie e anche con l’app in background (andando così a fare concorrenza a Spotify. Il secondo, invece, rimuove la pubblicità da tutto Youtube oltre a dare accesso ad alcuni contenuti esclusivi come film e serie tv.


Differente l’approccio di Facebook che invece di offrire contenuti a pagamento, preferisce aiutare i suoi utenti a monetizzare. Ha iniziato col Marketplace qualche tempo fa ma la vera innovazione è la possibilità di far pagare per l’iscrizione ai gruppi. Gli amministratori potranno decidere se tenere l’accesso libero al proprio gruppo oppure richiedere agli iscritti un obolo compreso fra i 4,99 e i 29,99 euro mensili. Naturalmente starà agli amministratori trovare un valido motivo per convincere ad abbonarsi: training, corsi, supporto personalizzato sono solo alcuni degli esempi che ci vengono in mente.

Pian piano, Internet si sta trasformando e non sarà più il regno del “tutto gratis e subito” in cambio di qualche pubblicità. In parte perché la gente ha imparato a usare gli adblocker, in parte perché i ricavi pubblicitari non sono più sufficienti, come sa benissimo chi ha un blog: quanti click sugli annunci ci vogliono per mettere insieme uno stipendio? Troppi. Tanto vale cercare di monetizzare coinvolgendo un numero inferiore, ma pagante, di utenti. I tempi stanno diventando maturi per farlo.