Giusto un paio di giorni prima fine dell’estate si è svolta l’ennesima edizione milanese dello SMMday, il Social Media Marketing Day Italia, una comunità di professionisti e appassionati composta da più di 35.000 persone. Il tema di questa 24esima edizione era la gestione delle crisi, quelle inevitabili tensioni che fra aziende e il pubblico che si creano sui social.
Incuriositi dal tema, abbiamo deciso di partecipare scoprendo di essere in buona compagnia: oltre 200 persone hanno preso posto nella sala che ospitava l’evento. Un pubblico costituito in buona parte da social media manager o community manager, gente che lavora nel settore e che si è confrontata sugli esempi più rappresentativi degli ultimi mesi di gestione della crisi: dal recente episodio dello spot di Buondì, intriso di humor nero, alla più “anziana” polemica sul caso Piovono Zucchine. Se per quanto concerne quest’ultimo caso l’opinione era più o meno univoca (“così non si fa!”, per farla semplice), su altri temi la platea si è spaccata fra chi sosteneva le ragioni di un approccio ironico, a volte sul filo dello sberleffo, e chi ritiene che un grande marchio dovrebbe essere più pacato quando comunica col suo pubblico. Come prevedibile è il caso della campagna Buondì Motta che ha acceso la discussione e diviso maggiormente chi è intervenuto.
Trattandosi di un pubblico di professionisti, il nodo della questione volgeva sui risultati della campagna, non sulla sua qualità. È innegabile che lo spot abbia generato tantissimo engagement e che il messaggio (o la polemica?) sia rimbalzato ovunque, ma quali risultati ha portato effettivamente? Una parte della platea si chiedeva se quel tipo di tono avesse aiutato le vendite mentre la restante fetta non dava troppa importanza alla cosa, focalizzandosi sul fatto che il parametro che contava era la diffusione, la poderosa reach ottenuta grazie all’approccio provocatorio e irriverente. “L’importante è che se ne parli”, insomma, opposto al più pragmatico “l’importante è che faccia vendere di più”.
Cosa è più importante per un’azienda come Motta? Cambiare la brand image del Buondì, svecchiandolo e facendo rimbalzare il nome di bocca in bocca oppure incrementare il fatturato nel breve termine? Una risposta non banale.
In Hydrogen ci occupiamo sia di branding sia di pubblicità e di conseguenza tendiamo a non sottovalutare nessuno dei due aspetti. Abbiamo rilanciato, o ricreato, l’immagine di numerose aziende, così come ne abbiamo aiutate altre a far crescere il fatturato tramite campagne mirate. Il nostro obiettivo è quello di accontentare i clienti a seconda delle specifiche esigenze e di conseguenza possiamo bene capire le ragioni di chi, come forse Motta e sicuramente Ceres, o Taffo, sente più l’esigenza di comunicare che di incrementare i guadagni nel breve termine. Dobbiamo anche ammettere che non sempre certe scelte sono ponderate a dovere.
Sebbene solitamente non manchi una strategia a lungo termine su come svecchiare l’immagine e cosa fare con i fan raggiunti, talvolta manca un ragionamento più articolato su dove si sta andando. Si ha l’impressione che certe pubblicità “virali” o “non convenzionali” servano più a colpire l’attenzione del presidente dell’azienda o ad arricchire l’ego del marketing manager che comunicare al pubblico lo stile di un marchio o un prodotto.
Capita sovente di sentirsi chiedere dal cliente una pagina Facebook “come quella di Ceres”, fatta di umorismo graffiante e basata sul real time marketing. Quando poi gli si chiede il perché, che messaggio vuole trasmettere e a quale pubblico, si realizza che le idee non sono poi così chiare. Che magari tutto quel clamore mediatico non è la cosa di cui quell’azienda ha bisogno in quel momento, perché la sua identità è alla fine ben differente, così come il suo target. Non a caso durante lo #SMMdayit è emerso un dettaglio che merita attenzione: anche il pubblico più generalista sapeva – tramite i media – quale agenzia aveva curato la campagna del Buondì. Non sappiamo se la visibilità di Buondì ha permesso a Motta di vendere più merendine ma abbiamo la sensazione che questa volta il maggior ritorno di immagine l’abbia ottenuto l’agenzia e non il suo cliente.