Ne hanno annunciato la morte in più occasioni ma ancora oggi, nel 2017, la radio sembra essere in perfetta forma. Dal 23 febbraio del 1920, data della prima trasmissione radiofonica, si sono susseguite tecnologie ben più moderne e intriganti, incapaci però di scalzare l’essenza della radio. Non ci è riuscita la televisione, figuriamoci Internet che – anzi – l’ha rinnovata, migliorata, resa ancora più popolare.
Certo, per sopravvivere ha dovuto mutare. Non nei contenuti ma nel mezzo di trasmissione. La buona vecchia modulazione di frequenza sopravvive (per quanto in Norvegia sembrino seriamente intenzionati a sbarazzarsene) e rimane il modo più economico e accessibile per seguire le emittenti. Ciò che però ha dato nuova vita linfa alla radio è stato Internet, permettendole di oltrepassare i confini fisici imposti da AM ed FM. Puoi ascoltare Radio24 anche quando sei a New York per un viaggio di lavoro. O svagarti la domenica sintonizzandoti con lo smarpthone su un’emittente texana dedicata al country. Con il podcast la radio ha superato anche i limiti temporali, semplificando all’estremo ascolti in differita delle trasmissioni, il tutto a portata di app.
La rivoluzione più imponente è stata però la democratizzazione del mezzo. Per improvvisarsi emittente non è più necessario occupare preziose bande dello spettro, ottenere autorizzazioni, pagare tasse. Quelle che un tempo erano radio pirata oggi sono la norma: minuscole stazioni radiofoniche racchiuse dentro un notebook, quando non vivono direttamente nel cloud. O quando non sono generate da una intelligenza artificiale, tarate sui nostri gruppi. Come nel caso di Spotify e Pandora, quest’ultimo non funzionante dall’Italia. Perché in quasi cento anni la radio ha trovato il modo di rendersi sempre più libera, di risultare sempre più accessibile, ma le leggi e la burocrazia insistono ancora nel mettere qualche briglia a un media che lo spazio e il tempo li ha già sconfitti. Un media che, nonostante l’età, continua a raccogliere una fetta importante degli investimenti pubblicitari italiani. Un aspetto che talvolta sfugge quando si elabora una strategia di marketing. Galvanizzati dalla certosina profilazione dei consumatori ci si concentra su Facebook, su Google, quando si hanno fondi sufficienti anche sulla TV. Spesso trascurando l’importanza di questo anziano ma ancora amatissimo media.