La burocrazia, con tutte le sue lentezze e le sue assurde procedure, è uno dei mali della nostra società. Moduli da compilare, sigle da copiare e incollare, condizioni scritte in un linguaggio che rasenta l’incomprensibile e procedure che ci fanno sentire come se vivessimo nella distopica realtà raccontata da Terry Gilliam in Brazil. Il bello di Internet e delle tante aziende che operano al suo interno è anche dovuto dal fatto che gli scogli burocratici sono ridotti al minimo essenziale. La new economy ci ha portato a stipulare assicurazioni, pagare multe e richiedere informazioni con la semplicità di un click. Se c’è un problema e necessita l’assistenza, in molti casi basta avviare una chat con un operatore (o un intelligenza artificiale, dipende dai casi) e tutto si risolve in pochi istanti. Non mancano alcuni intoppi, è inevitabile, ma sono eccezioni. Fa però riflettere che una di queste eccezioni sia rappresentata da Facebook, una delle aziende più moderne e più capaci di guardare al futuro.
Sino a che tutto va liscio, Facebook e i suoi strumenti sembrano perfetti: veloci, intuitivi, affidabili. Quando però c’è un intoppo, sbrogliare la matassa può diventare un inferno, anche per chi un po’ di esperienza sul groppone ce l’ha. Proprio qualche giorno fa, Facebook ha deciso che un paio di campagne che avevamo realizzato per un nostro cliente non erano adatte alla pubblicazione. Abbiamo verificato che non contenessero parole proibite, che rispettassero i non sempre chiari standard per la pubblicazione, abbiamo anche provato a modificare gli annunci ma niente. A Facebook non piacevano. Abbiamo fatto appello e, dopo 24 ore circa, hanno attivato una delle due. L’altra, invece, è rimasta nel limbo, nonostante numerosi ricorsi fino a che, dopo quasi 3 settimane, una notifica sullo smartphone ci ha avvisato che anche quella è stata sbloccata.
Una notizia che ci ha contemporaneamente semplificato la vita e fatto inferocire. Felici di comunicare al cliente che la campagna finalmente era attiva e allo stesso tempo frustrati dal fatto che non c’era niente da correggere. Avremmo sinceramente preferito che qualcuno ci comunicasse che avevamo sbagliato qualcosa, che non avevamo rispettato una delle tante folli politiche imposte da Zuckerberg e invece no: Facebook si è arrogata il diritto di bloccare un annuncio sulla base del nulla. Ci teniamo a chiarire che si trattava di un annuncio normalissimo, privo di nudi, doppi sensi, citazioni di marchi… proprio a oggi non riusciamo a capire cosa abbia fatto scattare il blocco preventivo. Né perché l’azienda ci abbia messo così tanto a verificare che tutto fosse a posto.
Nel nostro caso siamo stati fortunati: il ritardo non ha comportato troppi danni ma cosa sarebbe successo se per il nostro cliente la data fosse stata fondamentale? Se l’annuncio avesse riguardato una promozione temporale, come San Valentino o la Pasqua? Come è possibile che un colosso come Facebook possa permettersi il lusso di non rispondere – con operatori umani quando necessario – in tempi brevi ai suoi inserzionisti? Quelli che alla fine la tengono in piedi tramite le sponsorizzazioni? Non pretendiamo una semplificazione delle regole, che sarebbe comunque auspicabile, ma una risposta in tempi accettabili ci sembra il minimo per chi paga per il servizio offerto.