“Se i miei calcoli sono esatti, quando questo aggeggio toccherà le 88 miglia orarie ne vedremo delle belle, Marty.”
È il 1985 e la frase è tratta dall’epico film “Ritorno al Futuro”. Emmet Brown (in arte Doc) interpretato da Christopher Lloyd è lo scienziato visionario che conduce Marty (Michael Fox) in un’avventura ambientata nel 2015.
Il risultato scenico è particolarissimo, la ricostruzione del nostro presente risulta azzardata, un po’ buffa, eppure tre cose gli sceneggiatori le avevano azzeccate:
Per le macchine volanti ci stiamo ancora lavorando però non sono una mera utopia…
Questo dimostra che a volte con un po’ di fantasia è possibile prevedere il futuro. Non serve essere dei sensitivi per riuscire a calcolare cosa ne sarà del nostro Pianeta tra qualche decina d’anni. Basta semplicemente riuscire ad unire i puntini per trovare la chiave giusta. Aggiungere poi un pizzico di follia, un po’ di fantasia e tanta creatività ed ecco che un visionario si trasforma in futurista.
Anche noi di Hydrogen a volte proviamo a fare questo esercizio di immaginazione, un po’ come avvenuto nel nostro articolo su “Cosa ne sarà del business dopo la Pandemia”. La storia corre veloce e spesso è difficile per noi starle dietro. Essere visionari vuol dire diventare campioni di velocità e maratoneti dell’astuzia.
Oggi vogliamo provare a fare un esercizio diverso. Andando a scavare nel passato abbiamo scoperto che non sempre i visionari hanno dato retta alle loro idee, rifiutandosi di portare avanti dei progetti che altrimenti avrebbero potuto riscuotere molto successo.
Coraggio viaggiatori temporali, è ora di iniziare. Ecco a voi 3 momenti della storia in cui vorremmo che Doc ci portasse indietro per sistemare le cose.
Eccoci tornati indietro nel 1973. Siamo a New York e la nostra missione è quella di trovare l’ingegnere Steven Sasson e persuaderlo che l’idea di proiettare fotografie su uno schermo è geniale.
Non stiamo parlando di fantascienza ma di realtà. Questa è la vera storia dell’ingegnere di Kodak che progettò quasi per errore il primo esempio di fotocamera digitale.
Sasson stava lavorando ad un progetto privo di rischi finanziari, per ottimizzare la risoluzione ottica della camera, come lui stesso racconta in questa intervista del New York Times . Tuttavia si rese conto della potenza della digitalizzazione dell’immagine. Riuscì insomma a creare una camera capace di riportare le immagini in digitale risparmiando tempo sulla stampa delle foto.
L’accoglienza del progetto da parte degli investitori di Kodak fu abbastanza tiepida. Le tecnologie del tempo non erano abbastanza sviluppate per una produzione di massa delle camere digitali e il processo scientifico avrebbe richiesto almeno 20 anni di ricerche. Lasciarono perdere l’idea perché la ritennero poca roba. Nessuno avrebbe gradito guardare delle foto da uno schermo….in fondo gli smartphone e Instagram chi poteva prevederli?
Due decenni dopo Kodak guadagnò qualcosina dalla vendita dei diritti sull’idea avuta dal loro ingegnere. Una vittoria misera visto che oggi il colosso delle macchine fotografiche si è ridotto a produrre cartucce per stampanti…
Se solo riuscissimo a tornare indietro nel tempo sarebbe bello lasciare almeno questo insegnamento agli ingegneri di Kodak: mai smettere di credere sulla potenzialità delle proprie intenzioni. Infine qui troverete l’intervista in cui Sasson racconta la sua esperienza.
Rimettiamoci in viaggio sulla nostra capsula del tempo e spostiamoci ora di qualche decennio più avanti verso le tiepide coste di San Josè in California. È il 2010 e siamo nello studio di Shantanu Narayen, CEO di Adobe, il colosso digitale che vanta di essere il numero uno della creatività online.
Lo troviamo intento a vagliare alcune proposte di business per l’azienda. Ecco che l’occhio gli cade su una proposta davvero interessante, si tratta del primo museo al mondo di opere digitali.
Pensate, un intero museo online dove gli artisti digitali possono esporre liberamente le loro opere in uno spazio dal design e l’architettura unici.
L’idea iniziò a prendere piede e fu perfino avviata la costruzione online del museo.
Tuttavia, pochi mesi dopo, il progetto fu abbandonato di punto in bianco. Non si sa perché e non si sa come. I finanziamenti furono semplicemente tagliati.
È vero che a guardarsi indietro tutto sembra ovvio, eppure al giorno d’oggi l’arte digitale è motivo d’orgoglio. Il collezionismo di opere uniche in formato digitale sta iniziando a prendere piede e le cifre spese non sono tanto diverse da quelle per le opere d’arte del passato.
Si tratta effettivamente di prendere parte a delle aste online dove l’opera d’arte viene venduta al miglior offerente insieme ad un certificato di autenticazione.
Il possesso di un certificato di autenticazione, rende il proprietario dell’opera l’unico e reale possessore di quest’ultima…per molte persone questo è motivo di vanto e di prestigio. Esistono opere di diverso tipo (immagini, meme, diamanti in 3D e persino dei gattini da crescere, accudire e vendere) tutte però hanno lo stesso principio di base: l’esclusività.
Questa domanda richiede una risposta più estesa che verrà approfondita nell’articolo della prossima settimana.
Basti sapere per ora che esiste una tecnologia chiamata “blockchain” che consente agli autori dell’opera di sigillare gli elementi chiamati NFT (non fungibile tokens) attraverso una serie di lucchetti digitali praticamente impossibili da aprire senza il permesso del titolare dell’opera. Questo sistema è già in uso per altri elementi digitali che necessitano di totale sicurezza, per esempio i documenti che firmiamo e inviamo via PEC oppure il nostro account dell’Agenzia delle Entrate. Appena un intruso cerca di aprire il primo lucchetto, scatena una reazione a catena che consente alla catena di sigillare l’intera opera. Per riuscire a sbloccare illegalmente un’intera catena ci vogliono dalle due alle tre ore. Un sistema poco conveniente per qualsiasi hacker.
Se avete qualche migliaio di dollari in cripto valute da parte, il nostro consiglio è di investirli nell’acquisto di alcune di queste opere. Fidatevi di noi, ne vale davvero la pena…non fate come Adobe, cogliete la palla al balzo.
L’ultimo esempio di rincorsa per essere al passo coi tempi ci avvicina ai nostri giorni e ci proietta nell’Italia del marzo 2015.
In quel periodo infatti il Governo pubblicò uno studio sull’andamento del progresso digitale nel nostro Paese.
Quello che evidenziava il report non ci stupisce più ormai. L’Italia era tra le ultime nazioni in Europa ad aver avviato un processo di digitalizzazione. Si decise pertanto di stanziare dei finanziamenti quinquennali per migliorare la situazione sopratutto nell’amministrazione pubblica. Incentivi, corsi di formazione e acquisizione di nuovi software avrebbero aiutato l’evoluzione tecnologica a far finalmente parte delle nostre vite.
Non ultima, fu geniale l’intuizione di versare degli incentivi ai privati a favore dell’introduzione di una prassi che già in quell’anno spopolava in Nord Europa: lo Smart Working.
Le intenzioni erano buone ma nessuno ritenne necessario provvedere a sanare una proposta che prevedeva di svuotare le aziende per mandare le persone a lavorare da casa, con conseguente regolarizzazione del contratto. I fondi per quel progetto non furono stanziati.
Era il 2015 e mancavano meno di cinque anni all’arrivo di quel virus, che come abbiamo visto, ci ha costretto non solo allo smart working ma che ci ha anche trovati impreparati a tutto quel processo digitale che ci avrebbe supportati nella situazione di crisi vissuta dal marzo 2020…ça va sans dire.
Come abbiamo visto da questi tre esempi, a volte sentimenti come la paura e la frustrazione ci portano ad abbandonare le nostre idee migliori. Il coraggio di un’imprenditore però, si vede anche nella sua abilità di rischiare in nome delle proprie intuizioni.
Se tre sono stati i fallimenti che abbiamo proposto oggi, lo stesso numero vale come regola aurea per il perfetto visionario del futuro:
Questa triade lavora in perfetta sintonia.
Un buon visionario dev’essere prima di tutto informato e ben preparato. Storia, psicologia, politica, economia ecc. Ogni elemento aggiunge della conoscenza in più. Maggiore è la conoscenza accumulata, maggiori sono le possibilità di unire i puntini, di diventare più coscienti dei bisogni delle persone e delle opportunità proposte dalla scienza.
Bisogna poi saper camminare veloci, come accennato nell’introduzione. La Storia corre a velocità sempre maggiore. Se un tempo le grandi rivoluzioni scientifiche e sociali si compivano nell’arco di decenni, oggi sono sufficienti anche pochi mesi per portare qualcosa di innovativo. Basti pensare per esempio, alla velocità con la quale sono stati scoperti i vaccini per il Covid-19. La scaltrezza e l’astuzia fanno parte di questa nuova velocità. Per correre veloci bisogna avere le ali ai piedi ed accettare l’idea che se non si fa attenzione si rischia di inciampare. Ma se il gioco vale la candela è meglio rischiare.
Questo lo sa solo chi scommette. Bisogna saper credere ed essere convinti delle proprie intuizioni per poter rischiare davvero. Nessun martire muore senza aver creduto ciecamente nei suoi ideali. Così come nessun Elon Musk di turno fa affari senza aver posto le proprie idee al primo posto.
Qui da noi in Agenzia di imprenditori ne passano tanti. Ogni giorno raccogliamo le loro storie, i loro progetti e il loro entusiasmo.
Abbiamo accompagnato imprenditori dal cuore luminoso e la mente brillante che non hanno mai ceduto. Sono rimasti ben piantati a terra radicati sui loro sogni e progetti. Abbiamo assistito alla nascita di nuove realtà proiettate nel futuro.
A noi il privilegio di essere stati per loro la casa colorata dove le loro idee hanno mosso i primi passi, spronati dai nostri consigli e la nostra creatività…e questo a noi basta.