Una notizia passata in sordina anche sui quotidiani più autorevoli riferisce che quest’anno le università del Sud hanno registrato un incremento del 25% sulle nuove immatricolazioni rispetto al 2019.
Dato comprensibile poiché il rischio di un nuovo lockdown è sempre alle porte. Gli studenti preferiscono restare vicino casa.
Ed è proprio da casa che centinaia di migliaia di persone continuano a lavorare. Dopo le chiusure di marzo infatti sono in molti a non aver più rivisto i loro uffici.
Diverse aziende hanno deciso di chiudere le loro sedi per risparmiare su spese di affitto e bollette e perpetuare l’abitudine dello smart-working. Lasciando mense e tavole calde vuote durante la pausa pranzo.
Ci siamo domandati cosa stesse accadendo ponendoci le seguenti domande:
Cos’è lo smart-working? Cosa non lo rende tale?
Tutti ne parlano e come sempre pochi ne conoscono il reale significato. Prima della pandemia quasi nessuno in Italia praticava lo smart-working. All’improvviso le aziende hanno deciso di dare una carica turbo ai propri dipendenti, costringendoli (qui non si usa una parola a caso) a innovarsi. Perché innovarsi è cool.
I risultati sono dei più vari. C’è chi all’inizio ha provato ad uccidere il proprio tablet versandoci sopra i colori acrilici della prole o altri che hanno postato storie instagrammabili mentre sorseggiavano il caffè dal terrazzo di casa durante una call con i colleghi, mentre qualcun altro tirava lo sciacquone del water in direct. L’umanità è bella perché è varia.
Oggi la situazione inizia ad assestarsi. Quasi tutti hanno imparato come si disattiva il microfono su Zoom e persino 4 lavoratori smart su 5 si ritiene felice della propria condizione.
Lo stiamo facendo nella maniera giusta?
Partiamo dalle basi: “Metti la cera, togli la cera”
Poiché siamo italiani dobbiamo parlare inglese. Ogni volta resta un mistero il perché di questa scelta. Potrebbe anche trattarsi di una scelta adeguata se almeno l’inglese lo sapessimo parlare per bene.
Smart in Inghilterra significa “intelligente”, al contrario in Italia, smart assume anche il significato di “veloce”.
Quando il concetto fu coniato all’estero, certamente, avevano in mente in maniera univoca il termine “intelligente”. Dunque ecco svelato il significato dell’anglicismo:
SMART WORKING = LAVORO INTELLIGENTE
Se allora lo smart-working è di per se intelligente, come mai lo stiamo facendo in maniera così stupida?
Molto probabilmente abbiamo già la risposta a portata di mano. Quello che gli italiani hanno fatto durante il lockdown e che continuano a fare ancora oggi NON è smart-working. Si tratta invece di Telelavoro. Ovvero: l’arte di replicare sul divano di casa le stesse modalità tossiche che avvengono in ufficio.
Sei stressato dalle call? È telelavoro.
I clienti e i colleghi non ti danno tregua neanche di notte? È telelavoro.
Ti senti schiavo del sistema? Esatto! È telelavoro.
Lo smart-working così come dovrebbe essere inteso, consiste in modalità di funzionamento del lavoro che lo rendono intelligente, quindi dovrebbe limitare al massimo frustrazione e stress per far emergere risultati e qualità della vita migliori.
Nell’ordinamento italiano lo smart-working è definito dalla legge n.81/2017 che delinea la tipologia di attività.
Così recita:
“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.”
La definizione sembra piuttosto chiara e dà subito l’idea di come molti di noi stiano lavorando da casa in maniera sbagliata. Andiamo a vedere allora quali sono le sei regole d’oro per rendere il nostro lavoro realmente smart.
LO SPAZIO DI LAVORO: secondo la legge, il lavoro può essere eseguito ovunque. La flessibilità spaziale è un diritto ben stabilito. Tuttavia, un’attività ordinata necessita di uno spazio ben ordinato. La nostra percezione della realtà muta da ambiente ad ambiente e stimola le nostre capacità di risposta agli stimoli. Detto in soldoni: se in una vasca idromassaggio tendiamo a rilassarci, in un vicolo buio di notte siamo più predisposti allo stato d’allerta. È quindi importante ricreare un ambiente ideale dove eseguire le nostre attività. Una scrivania, un computer e una sedia per ricordarci che il lavoro è un misto tra stato d’allerta, reattività e riflessività. Quindi sono caldamente sconsigliati: il divano o peggio il letto e le sdraio a bordo piscina.
TECNOLOGIA: altro elemento essenziale oltre allo spazio è la tecnologia che dev’essere adeguatamente sviluppata. Qui le cose potrebbero andare decisamente meglio. Nel 2019 l’UE ha svolto una ricerca sulla digitalizzazione dei cittadini e ne è emerso che quasi 1 lavoratore su 5 avrebbe bisogno di maggiore preparazione informatica. Inoltre fuori dalle aree urbane solo 4 persone su 10 dispongono di connessioni veloci. Senza contare il fatto che molte tra piccole e medie imprese non hanno database informatici completi.
EVITARE LA ROUTINE TOSSICA: Altri elementi che distinguono lo smart-worker sono l’agilità e l’organizzazione con la quale il lavoro viene ottimizzato. Spesso nei nostri uffici si sprecano ore vuote senza fare nulla per poi arrivare a picchi di produzione elevatissimi per rispettare le scadenze. Senza poi contare quelle innumerevoli riunioni da quattro ore dove si parla del nulla e non si prende nessuna decisione. È necessario quindi ottimizzare tutto questo permettendo al lavoro di scorrere agilmente durante l’arco della giornata, senza sprecare tempo inutile che potrebbe essere invece dedicato alla famiglia o agli hobby. Una call a distanza non può essere lunga e inutile come una riunione in ufficio. Ogni partecipante dovrebbe regolare i propri interventi limitandosi a riferire solo le cose essenziali e indispensabili. Lo smart-worker non ha tempo per le inutili chiacchiere. Gli interventi vanno preparati prima, condivisi in una scaletta e poi esposti in maniera chiara (possibilmente attivando il microfono quando arriva il proprio turno). In generale essere ORGANIZZATI è il segreto per vivere tranquilli.
ORGANIZZARE I TEMPI: Ovviamente parte dell’organizzazione riguarda proprio la gestione dei tempi. Il lavoro è realmente smart se il dipendente è autonomo nella gestione dell’orario e inizia e finisce di lavorare quando più desidera, senza che sia l’azienda a imporglielo. La nostra capacità di produzione e attenzione varia da persona a persona. Ci sono persone più produttive alle 6 del mattino e altre che sono più attive di notte e preferiscono svegliarsi a mezzogiorno.
UNA FORMA DI CONTRATTAZIONE DIFFERENTE: storicamente siamo abituati ad una forma di contratto lavorativo che oltre a richiedere la presenza del dipendente in sede è limitata alle ore di lavoro. Inoltre l’azienda si impegna a fornire un ufficio con computer connessi a internet e altri servizi utili. Come abbiamo visto, nulla di tutto questo può valere per lo smart-worker che NON lavora ad ore e NON utilizza i servizi forniti dall’azienda. I contratti di smart-working dovrebbero prevedere delle finalità che riguardano gli obiettivi raggiunti e non le ore di lavoro impiegate. L’azienda commissiona un un obiettivo X e il dipendente, secondo i suoi tempi e modalità di lavoro, lo porta a termine entro tot. So easy, so smart. Addio ritardi sul posto di lavoro e addio sindrome da iper-controllo.
LA FIDUCIA: perché tutte le regole sopra elencate funzionino, è indispensabile instaurare un rapporto di fiducia tra il dipendente e il datore di lavoro. Questo contribuisce a creare un senso d’orgoglio nel dipendente poiché diviene realmente “faber suae Fortunae” nel portare a termine un obiettivo. Ricordiamo tutti quel senso di frustrazione che provavamo da adolescenti quando a scuola ogni nostro minimo movimento era controllato dai docenti. Perché continuare a perpetuare questa modalità anche da adulti? È necessario emanciparsi per sentirsi responsabili. La fiducia in definitiva è l’elemento umano essenziale, di questi tempi, perché un’azienda possa considerarsi matura. Il dipendente sarà orgoglioso di portare a casa dei risultati, restando, appunto, a casa.
A questo proposito stiamo assistendo al proliferare di applicazioni utilizzate dalle aziende per tenere costantemente sotto controllo i dipendenti. Webcam che scattano foto ogni quindici minuti, app che controllano la posizione dei dipendenti e algoritmi che calcolano le ricerche e le attività svolte dal personale sul computer. Questo genere di controllo lo si può definire un rapporto di fiducia? Voi come vi sentireste a lavorare così?
Abbiamo visto cosa rende lo smart-working una realtà applicabile. Tuttavia la nostra società ha avviato dei cambiamenti affrettati presa dall’ansia del Covid. La fretta, come si sa, è cattiva consigliera ed è quindi necessario prendersi del tempo per riflettere su altri quattro aspetti che renderebbero lo smart-working una mera utopia:
ALIENAZIONE: corsi e ricorsi storici, ovvero la storia tende a ripetersi e difficilmente l’umanità impara dai propri errori. Già Marx a cavallo di due grandi rivoluzioni industriali aveva messo in guardia l’umanità dal pericolo di alienazione dell’uomo davanti alla macchina. Anche oggi il problema resta rilevante. Passare spesso ore e ore davanti ad un computer rischia di alienarci dalla realtà. Il consiglio è quello di impossessarsi del proprio tempo per staccare gli occhi dal monitor e impiegarlo in attività ricreative e di piacere. Restiamo sempre umani dopotutto.
IPER-PRODUTTIVITÀ: migliore amica dell’alienazione, l’iper-produttività appartiene al concetto sbagliato di smart-working. Ricordiamo che smart in inglese non significa “veloce” ma “intelligente”. La nostra società richiede delle performance assurde per inseguire il processo economico e rispettate il tanto temuto “fattore tempo”. Anche in questo caso non si riesce a comprendere il perché di questo eccesso di produttività che spinge le persone a restare incollate al computer per ore e ore. L’essere umano è per natura limitato, lo sforzo di produrre di più va a discapito della salute e della qualità del prodotto finale. Il motto è: Qualità e benessere prima di ogni cosa.
VIOLAZIONE DELLA PRIVACY: lavorare da casa vuol dire inserire un nucleo estraneo a quello che è il mio ambiente privato. Gli occhi del nostro manager e dei colleghi entrano nell’intimità del nostro salotto attraverso le webcam. Il rischio è che l’azienda conquisti lo spazio privato del dipendente per privarlo della libertà di essere un individuo autonomo e separato dal logo aziendale. Ribadiamo che fiducia e rispetto dovrebbero essere alla base del rapporto dipendente/datore di lavoro.
IPER-RISPARMIO: col proliferare dello smart-working molte aziende hanno deciso di chiudere i loro uffici per continuare tutto il lavoro da casa. Questo comporta un risparmio in termini di affitto, connessione internet, bollette e cancelleria. Costi che però vanno a gravare sul dipendente che in autonomia dovrà procurarsi il materiale con cui lavorare. Se da un lato l’azienda risparmia, dall’altro il dipendente ne paga le spese. Un contratto di smart-working dovrebbe prevedere un rimborso spese di default per aiutare i dipendenti nel sostenere i costi materiali. D’altronde si mettono le proprie connessioni internet, i propri computer e la propria corrente elettrica al servizio dell’azienda. Non è virtuoso che il rapporto di lavoro si riduca ad essere così profondamente parassitario. Le aziende dunque non dovrebbero adagiarsi sulle aspettative di facili risparmi, ma dovrebbero continuare a investire attivamente sul benessere del dipendente.
In conclusione lo smart-working ha contribuito a condurre la nostra società verso una nuova Era di digitalizzazione. I profondi cambiamenti che ci aspettano dipendono dalle scelte che faremo in futuro.
Se lo smart-working riuscirà a prendere piede nel modo giusto, aiuterà a ridefinire il mondo del lavoro in un ottica più qualitativa. Tutti noi riusciremo a riconquistare i nostri spazi naturali e a dedicare più tempo ai nostri affetti e hobby.
Al contrario, continuando su questa strada dove con falso nome mascheriamo quello che è telelavoro, costruiremo una società sempre più alienata, fredda e impreparata alla sopravvivenza emotiva.
In Hydrogen abbiamo cercato di creare un ecosistema di lavoro che possa essere empatico e ottimale per i nostri dipendenti. Affinché la qualità dei nostri lavori sia sempre la più alta possibile.