I movimenti di massa sono da sempre uno dei successi mediatici più importanti della storia. Alla base di questi movimenti c’è un sostanziale rifiuto di ciò che è venuto prima. L’umanità intera incanala tutto in strutture fisse, confini, terminologie e regole. Fin dagli albori la schematicità delle cose ha aiutato gli esseri umani a gestire le informazioni che arrivano dall’esterno. Tuttavia, arrivano dei momenti nella storia dove tutto, ogni elemento giunto dal passato, inizia a diventare obsoleto e necessita di essere cambiato, o meglio, rivoluzionato. Nasce così la rivolta dell’uomo che si scrolla di dosso canoni e principi vecchi per vestirne di nuovi.
«Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando.»
(L’Homme révolté. Essais, Albert Camus)
Tra la fine degli anni ’60 e l’intero decennio successivo, queste rivolte sono state le protagoniste più o meno violente della storia.
I confini delineati dai patti del Secondo Dopoguerra iniziavano a stare stretti un po’ a tutti e un vento di novità stava per travolgere l’Occidente.
La seconda metà degli anni ’60 è caratterizzata da avvenimenti di portata epocale.
Nel ’65 inizia la sanguinosa guerra in Vietnam e la Kodak lancia l’innovativa pellicola Super8. Mao Tsetung avvia la Rivoluzione Culturale in Cina nel 1966.
E poi il ’68 l’anno delle grandi contestazioni di massa per gli studenti di tutto l’Occidente marciando a passo sostenuto verso la libertà. Mentre nel 1969 c’è un unico, goffo, piede, a fare la differenza, calcando per la prima volta la crosta lunare.
C’è aria di novità insomma e questo la pubblicità lo percepisce benissimo.
Uno dei più grandi colossi al mondo, la Coca Cola, torna a far parlare di sé con una strategia che resterà per sempre negli annali della Storia pubblicitaria.
Nel 1971 va in onda uno spot targato dal marchio di bibite dal titolo “Hilltop”. Ragazzi di tutto il mondo, in abito hippy, si ritrovano su una collina in Italia per cantare in nome della Coca Cola e inneggiare alla pace. “I’d like to buy the World a Coke and furnish it with love…”. Una visione onirica e pacifica ma anche rivoluzionaria.
Coca Cola punta alle nuove generazioni come motore principale delle proprie campagne. Lasciati alle spalle gli spot “classici”, composti da famigliole felici, bianche e benestanti, il marchio utilizza dei ragazzi che nella mentalità americana dell’epoca sono paragonati a degli scapestrati senza futuro. Quei “ragazzacci” che rifiutano ogni forma di incatenamento borghese e che inneggiano alla libertà.
Come abbiamo visto, l’arte dell’epoca si è apertamente schierata contro il consumismo dilagante. Dagli anni ’60 in poi la pubblicità diventa uno strumento sempre più distante dai manuali di pittura e dai concetti espressivi dei pittori. Inizia così a diventare un’espressione a se’ con movimenti e correnti indipendenti.
Grazie al sorgere delle grandi agenzie pubblicitarie in tutto il Mondo ogni Art Director e Copywriter diventa il fondatore di una scuola di pensiero autonoma.
Creatività ed arte iniziano a prendere strade diverse. Il marketing prende il posto del pennello e il copy d’assalto sostituisce il concetto artistico.
Il cambiamento della pubblicità diventa epocale e inizia ad avvicinarsi sempre di più a quello di pubblicità contemporanea. Ma non è solo la “nuova scuola” pubblicitaria a rendere diverso il volto dei banner pubblicitari. C’è una nuova rivoluzione in atto nel concetto di immagine stessa. Inizia l’era della fotografia.
È l’8 giugno 1972 Kim Phuc, bambina vietnamita di 9 anni, si trova vicino al tempio di Cao Dai con la famiglia, che tenta di sfuggire ai bombardamenti tra le forze del Vietnam.
Nick Ut, fotografo 21enne dell’Associated Press, si trova nei pressi del tempio quando vede questa bambina, completamente nuda, correre verso di lui in preda allo shock. Riesce a scattare un paio di fotogrammi prima di vedere Kim svenire.
Questa immagine è il biglietto da visita di un decennio ricco di criticità, sofferenza e paure.
Un decennio i cui eventi principali sono stati immortalati per sempre da grandi fotografi.
È l’epoca del fotogiornalismo, in cui si comprende che spesso un’ immagine racconta più di mille parole.
La pubblicità del tempo comprende la portata di questo movimento e ne diventa la naturale prosecuzione. Dando alla luce scatti pubblicitari degni delle più prestigiose gallerie d’arte.
Nel frattempo i così detti “mad man” americani approdano in Italia e iniziano a dare libero sfogo alla loro creatività attraverso i canali pubblicitari, rendendo memorabili brand e slogan. Tra questi spicca per genialità Emanuele Pirella, classe 1940, da molti considerato il padre della pubblicità creativa in Italia. Pirella una volta affermò: “Lo scopo della pubblicità creativa non è vendere il prodotto, ma farsi comprare”.
È il 1973 quando le vie principali del Nord Italia si riempiono di cartellonistiche provocatorie e dal tono mistico. Si tratta della pubblicità dei “Jesus Jeans, chi mi ama mi segua”, realizzata da Pirella in qualità di copy, Michael Goettsche e la fotografia dell’artista Oliviero Toscani.
Sono gli anni in cui attraverso le immagini diventa possibile far cadere ogni tabù imposto dalla società e diventano lo strumento di contestazione di quella cultura reazionaria, moralista e patriarcale. Già negli anni sessanta infatti il mondo femminile ottiene la sua prima grande emancipazione attraverso l’invenzione e la più ampia diffusione di elettrodomestici come la lavatrice e l’aspira- polvere. La tecnologia conduce il mondo femminile fuori dall’universo casalingo e lo proietta in un mondo globalizzato e ricreato dal mezzo televisivo.
Le donne iniziano ad essere più libere. Tra queste compare la figura della prima grande pubblicitaria donna in Italia, è AnnaMaria Testa.
Tra l’incontro di Testa con il suo maestro, Emanuele Pirella, nasce una delle collaborazioni creative più fiorenti della storia pubblicitaria italiana. Anni dopo si potrà affermare che Annamaria Testa con la sua bravura ha raggiunto, se non superato, la bravura del suo maestro.
Nel gennaio 1976 presso “Agenzia Italia” Testa inizia a lavorare con il suo maestro. Si tratta di un ambiente popolato da gente di profonda cultura, dove la curiosità è stimolata verso la ricerca e lo studio. Un ambiente frizzante e a volte persino divertente. Tra i migliori compaiono fra tutti Michael Göttsche. Qui incontra anche il futuro socio di TPR, l’art Paolo Rossetti. Ai tempi l’ambiente creativo è popolato da uomini così detti di cultura.
Till Neuburg, direttore creativo, in un suo articolo su Testa così ricorda lo stile dei creativi che lavorano nelle agenzie in quegli anni:
“Fino a pochi pixel, tweet ed euro fa, i creativi pubblicitari sono stati una sorta di arancioni che vestivano rigorosamente dark. Ci chiamavamo fuori dal conformismo, mentre il vero conformismo eravamo noi: sempre attentamente trasandati, tiratardi a tutte le ore AM, vagamente trendy e á la page e, non di meno, inevitabilmente progressisti e femministi”.
Tutto il lavoro è eseguito a mano senza l’ausilio dei moderni computer. Disegni e impaginati divengono prodotti originali e d’artigianato.
La società inizia a cambiare. La potente morale patriarcale degli anni Sessanta cede il passo al rock, agli spinelli ed a un mercato costantemente in crescita e in lotta per affermare il proprio prodotto.
Il linguaggio trova ampio spazio nei nuovi slang giovanili e nell’introduzione di terminologie anglosassoni che grazie ai mezzi di comunicazione attraversano l’oceano.
I figli dei fiori e dei Barbapapà si sono trasformati in veloci consumatori e acquirenti.
Per Perlana Testa crea il famoso tormentone: “È nuovo? No, lavato con Perlana!”
Lo stile di Annamaria Testa è così inconfondibile. Non lavora sul suono e il senso delle parole ma sulla struttura del messaggio.
Gli anni ’70, sono anni di crisi e austerità. Dopo la crisi petrolifera del 1973 infatti, l’inflazione si fa sempre più pesante. Sembrano essere anni sterili per la pubblicità. Un periodo nel quale invogliare la gente a spendere soldi per comprare beni materiali suona come un lusso che nessuno avrebbe potuto permettersi.
Ecco che Testa, consapevole di questo dato, per FIAT (un’azienda che desiderava uscire dalla stagnazione comunicativa) produce la copyad “DOMANI”. Su questa parola, nel 1977 FIAT investirà mille miliardi.”
Il messaggio è chiaro. Non si comunica alla gente di comprare prodotti FIAT. Chiede loro di fidarsi del marchio, di affrontare la crisi. Ispira nelle persone la consapevolezza che dalla crisi prima o poi si uscirà.
In quest’epoca la pubblicità è coerente con il dato storico del tempo. Si è soliti dire “c’è crisi e la gente non vuole spendere soldi”. La pubblicità contemporanea al contrario, pur consapevole della crisi economica, tralascia di comunicare in maniera coerente questo fatto, a volte persino mentendo spudoratamente alle persone. Si giunge alla consapevolezza che la pubblicità non è un mero mezzo per comunicare prodotti e merci. Si tratta di uno strumento potente per trasmettere valori e idee.
Nel 1979 Pirella e Testa lavorano alla prima campagna delle elezioni europee.
Mentre un prodotto commerciale ha già un piano strategico di marketing, un partito politico non sempre ha un’idea chiara di cosa e come comunicare al pubblico. Secondo Testa, il problema della comunicazione partitica italiana è che i politici comunicano idee che in realtà non hanno, cercano solo visibilità pensando che più sono visibili più consenso ottengono. I partiti mancano di chiarezza e concretezza.
Le sfide dell’ottavo decennio del secolo scorso si rivelano molteplici. Una DC ormai vecchia, presto scomparirà dalla politica italiana. La società sta per conoscere un virus terribile, l’HIV. Ben presto le giovani generazioni di paninari e punk saranno rapite dal format di un canale televisivo nascente: MTV.
E la Gran Milàn si perderà in un meraviglioso bicchiere di Amaro Ramazzotti “da bere”!
Il tempo di pubblicità moraliste e raffinate è ormai finito. Il linguaggio chiede di essere condiviso tra marca, buon uso e cittadino. Ora è il tempo di lanciarsi in nuove sfide grammaticali e sintattiche: “Golia Bianca sfrizza il velopendulo” così Testa ispira il marchio Golia.
Questo è il sintomo di un’Italia che vuole arrivare lontano, molto più veloce di quanto riuscirà veramente a fare. Sono gli anni ’80, l’anticamera della nostra vita.
La culla del nostro mestiere.
Dopo gli anni ’80 con l’arrivo del web tutto è cambiato. Persino l’arte ha virato verso orizzonti più diversi. Dal 2000 in poi arte e pubblicità continueranno ad ammiccarsi vicendevolmente ma non saranno mai più legate insieme…ognuna per la sua strada.