Siamo davanti ad un bivio storico di lunghissima durata. Si apre un periodo nuovo, bello e brutto insieme, un po’ come una pandemia inattesa che ci costringe chiusi in casa a riscoprire sentimenti come la noia, la paura ma anche la vita in famiglia, tempo per riflettere e tornare in noi stessi.
Il passaggio dalla Belle Époque all’età dei grandi conflitti mondiali si riassume in una sola parola, addio.
L’opera, appunto intitolata l’ “Addio”, raffigura una donna intenta a salutare un gruppo di militari in partenza per la guerra.
È il 1917 e il primo grande conflitto militare era già alle porte del suo terzo anno. Nell’animo dell’autore persistono ancora quella vivacità di colori tipiche delle avanguardie. Il movimento della mano tratteggiato su più punti, quasi rappresentato a rallentatore, è intriso di spazialità futurista.
Le forme dal tono onirico, invece, accennano a quella che da lì a poco diverrà la nuova narrativa dell’arte: il cubismo. Con le sue forme scomposte ma squadrate, Bucci rievoca un addio doloroso.
Addio alle notti gioiose al Quartiere Latino di Parigi.
Addio alle domeniche spensierate al Café des Artistes.
Addio alle passeggiate en plein air in Bretagna.
Addio al fuoco rivoluzionario delle nuove tecnologie.
L’unico fuoco rimasto è quello dei fucili che tra il 1915 e il 1918 terrorizza l’Europa. A seguire solo declino e confusione.
L’epidemia di Spagnola (1918-1920), l’ascesa del Fascismo in Italia (1922), il crollo della Borsa di Wall Street (1929), il Nazismo in Germania (1933), le persecuzioni razziali e la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Una scia di eventi drammatici che decretarono il blocco spirituale e sociale dell’Europa intera.
Insomma, addio.
Se da un lato dopo lo scoppio della Grande Guerra l’Europa inizia un lento percorso verso il declino, in America persiste ancora un certo benessere. Sembra quasi, infatti, che all’inizio del 1915, lo spirito dell’arte e della gioia, fatte le valigie, attraversi l’ Oceano Atlantico per approdare in America, insieme a milioni di irlandesi, italiani e polacchi, in cerca di futuro.
Gi anni ’20 diventano per gli USA un periodo di crescita e benessere. Un jazz sfrenato di libertà e opulenza! Gli anni ruggenti, la cui unica sobrietà è quella imposta dal Governo che nel 1920 emana una legge sul proibizionismo per il consumo di alcolici.
Birra a parte, la vita notturna di New York è pura follia. Nel 2000 la Disney realizza un episodio di “Fantasia2000” interamente dedicato a questo periodo. Sulle note di “Rapsodie in Blu” composta da George Gershwin nel 1924, si delinea lo skyline di una New York in espansione. È un’epoca di benessere economico.
Qui prende forma quello che sarà per sempre ricordato come il sogno americano. Anche l’uomo della strada inizia ad investire in azioni e le vede salire incessantemente, senza mai fermarsi, nell’arco di dieci anni, tra il ’20 e il ’29.
Impressionato dallo sfarzo del tempo, lo scrittore Francis Scott Fitzgerald nel 1925 pubblica uno dei suoi romanzi più di successo “Il grande Gatsby” !. Un’opera letteraria dai toni vivaci e scandalistici. Anche qui, sullo sfondo, un mondo in costante evoluzione. A tutti viene concesso di sognare, ma sopratutto di possedere.
Nasce in questi anni l’idea di pagamento a rate. Lo slogan “Compra oggi, paghi domani” diventa un tormentone costante in pubblicità.
Il domani tanto acclamato dai copywriter del tempo, è un futuro imprecisato ma certamente felice. Non c’è nulla che possa turbare l’entusiasmo della “new era” americana.
Si può acquistare di tutto. Tutti possono possedere radio, stufe, condizionatori e deodoranti.
Le immagini sono figlie della réclame tradizionale ma intrise di un modello socio culturale nuovo. L’urgenza espressa dalle ripetizioni delle parole “now” e “buy” è seguita da allettanti proposte di rateizzazioni del pagamento.
Sono realizzate a mano e ricalcano l’originalità dell’autore. Le figure, così a metà tra materico e onirico, sono raffigurazioni realiste ma fantasiose. Esattamente come dettato dal canone artistico del tempo.
Si tratta del “Precisionismo”, una corrente nata in quel periodo in America ed è una fusione tra cubismo e realismo.
L’arte visiva trova ampio spazio anche nel cinema, dove le nuove tecniche audio e suono iniziano a spopolare.
Artisti del calibro di Charlie Chaplin e il duo Stan Laureln e Oliver Hardy, prendono voce sullo schermo e strappano un sorriso al pubblico raccontando di un mondo un po’ ingenuo ma pienamente felice.
Nel 1928 si aprono le candidature alle elezioni presidenziali. Il repubblicano Herbert Clark Hoover, preso da insaziabile spirito di ottimismo rilascia una dichiarazione che potrebbe quasi suonare come le sue ultime parole famose: “Questo è l’inizio di una nuova era per il nostro Paese. È in atto un cambiamento senza precedenti che ci condurrà a debellare definitivamente la povertà dalla nostra Nazione”.
È il 1928. Solamente un anno dopo Hoover salirà in carica come 31mo presidente degli stati uniti. Ma il destino ha in serbo un brutto scherzo da giocare all’ottimismo degli americani.
Nel 1936 un affermato Charlie Chaplin sbalordisce migliaia di spettatori in tutto il mondo cercando di svincolarsi dalle morse di un macchinario infernale. Il film è “Tempi moderni”, una critica agrodolce nei confronti delle condizioni dell’americano medio in quel periodo. Condizioni non più rosee rispetto al decennio precedente.
La situazione economica americana a fine anni ’20 è ormai in caduta libera.
File di donne e uomini riempiono le piazze dei centri urbani in attesa di ricevere pacchi alimentari in beneficenza.
Se da un lato negli anni ’20 la crescita e l’espansione economica trovano terreno fertile, dalla fine del 1928 in poi, l’iperproduzione inizia a rallentare gli introiti delle casse aziendali.
Si produce troppo e si vende poco.
I titoli in borsa crescono a dismisura e nel settembre del 1929 gli investitori attirati da facili guadagni vendono più di 13 milioni di titoli. Tutto questo porterà alla crisi del giovedì 24 ottobre. Il giovedì nero della borsa americana.
I numeri della crisi sono devastanti. Risparmiatori sul lastrico, speculatori senza un centesimo, banche e imprese fallite, recessione, 13 milioni di disoccupati.
Gli USA ritirano i propri capitali dall’Europa, portando la crisi anche nel Vecchio Continente. È l’inizio di un nuovo periodo nero per la storia mondiale.
La grande depressione durerà oltre dieci anni, tra il 1929 e il 1939.
In questo periodo l’arte Precisionista diventa occhio privilegiato della realtà. Lo sguardo dell’artista è limitato, senza orizzonte. Ai grandi paesaggi impressionisti si sostituisce una realtà fatta di ferro e cemento.
Prevale lo studio degli interni. Studi, cucine, salotti sono i soggetti ritratti, quasi ad indicare che ormai l’unico luogo accogliente e sicuro non è per le grandi vie parigine e viennesi, ma nell’intimo della propria casa.
Forme solide ma senza fondamento da cui traspare l’insensatezza della realtà.
I quadri precisionisti sono pubblicità. Arte e realismo si fondono nelle rappresentazioni di artisti come Sheeler per raccontare una storia e parlare con il pubblico. Nelle opere precisioniste l’osservatore del tempo ritrova la propria vita, il disagio e l’attesa per un futuro più felice. Insomma se la pubblicità è specchio del consumatore, Sheeler è da considerarsi il più bravo Art Director della storia.
Sono proprio le pubblicità che attingono a questo realismo artistico per parlare al pubblico in un periodo di crisi profonda.
In questi anni nasce l’utilizzo dei testimonial. Figure di fiducia, forti e belle, capaci di consolare e ispirare il pubblico toccato dalla crisi. Sono personaggi gentili e carini.
Proprio in questo periodo “The Coca-Cola Company” ha l’idea della storia.
Già nel 1889 infatti il fumettista politico Thomas Nast aveva rilasciato diverse vignette di San Nicola vestito di rosso intento a distribuire doni nelle case. Vi era stata una forte crisi nel paese e il personaggio servì di conforto agli americani del XIX secolo.
Quarant’anni dopo una seconda crisi travolge gli USA e l’immagine si rende nuovamente utile allo scopo. Fa così colpo per i colori, la dolcezza e simpatia del personaggio che Coca-Cola decide di utilizzare l’immagine del Santo nelle sue pubblicità. È il 1931 e Coca Cola inventa Babbo Natale“.
Ma la coca Cola non è l’unica bevanda che circola per le strade americane del tempo.
Nel 1933 infatti il Governo degli Stati Uniti ritira la legge sul proibizionismo reintroducendo l’utilizzo degli alcolici in pubblico.
Di conseguenza torna legale sponsorizzare questo genere di bevande. Prima fra tutte compare la Guinness con i suoi manifesti d’epoca.
La compagnia di birra irlandese esplode con campagne pubblicitarie che ancora oggi decorano i pub di tutto il mondo. Si alternano immagini surrealiste e precisioniste, ridonando al prodotto un nuovo concept capace di superare la prova del tempo. Dopo anni di silenzio è ora di ritornare sul mercato.
Ma la rivincita è tanto creativa quanto strategica. È tempo di comunicare sicurezza e vicinanza alla popolazione e i messaggi lanciati da Guinness sono di incoraggiamento e forza.
La più famosa è la campagna che per l’intero arco degli anni ’30 accompagna le pubblicità del prodotto, “Guinnes for strenght”, un invito a riprendere fiducia in se stessi per ricostruire ciò che la crisi ha portato via.
Non manca certo un pizzico di ironia che da sempre accompagnerà il tono di voce del brand. Tutto merito dell’illustratore inglese John Thomas Young Gilroy.
Ma non è solo la cartellonistica ad essere protagonista della pubblicità. La radio ha ormai conquistato le case di tutti gli americani.
In questo periodo nasce l’idea pubblicitaria della soap opera. Un racconto a puntate sponsorizzate da un’azienda. Il termine “soap” deriva proprio dall’azienda Procter and Gamble, produttrice di saponi, che ha per prima questa idea di marketing. Una delle serie più famose è “Sentieri” o “The guiding light” che a partire dal 1937 appassiona milioni di radioascoltatori di tutto il mondo con più di 15.000 puntate.
Insomma la pubblicità diventa entertainment, per strappare un sorriso agli americani e liberare le loro teste dai pensieri negativi. Nessuno può però immaginare in quell’epoca che a male si aggiungerà presto altro male ed avrà le forme e il suono di un Kawasaki Ki-48.
È il 1939 in Italia e un giovane Gilberto Mazzi infiamma le piste da ballo con i suoi fox trot.
È un’Italia in piena era fascista, anestetizzata dalle parole del Duce che impone ordine e rigore ma sopratutto in economia detta la legge che “a noi basta solo l’essenziale” tutto il resto è un in più.
“Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare sarei certo di trovare tutta la felicità”. Insomma uno stipendio di circa 850 Euro mensili sono più che sufficienti.
Se da un lato dunque il rigore dittatoriale impone sobrietà, dall’altro la pubblicità non fa altro che adattarsi all’ideologia. Conservando, tuttavia, quello spirito artistico che anima i mani- festi d’epoca.
L’arte e la cultura non sono più libere ma sono in mano alla propaganda di stato. Nel 1927 gli artisti diventano la diciassettesima corporazione della Carta del Lavoro redatta dal fascismo. Se il di più non serve, in arte solo due sono le forme essenziali: il Muralismo e il Futurismo.
In quest’epoca di sconvolgimenti geopolitici, nel 1910 in Messico nasce il Muralismo o arte dei murales. Si diffonde a seguito della sanguinosissima Rivoluzione Messicana che vede sconfitto il dittatore Porfirio Diaz a favore di uno stato costituzionale e democratico.
È il movimento artistico più semplice.
Ancora oggi infatti i murales sono espressione artistica del popolo libero. Niente gallerie, niente mecenati e niente ideologie guidate. L’arte si esprime per strada, sullo sfondo di una civiltà del cemento in espansione.
Intorno agli anni ’30 anche l’Europa viene investita da questo movimento, finendo però per essere messo completamente a tacere dalle dittature.
Al contrario il futurismo fascista trova la sua espressione in autori del calibro di Umberto Boccioni. Forme sicure e fiere che rappresentano la rivincita dell’uomo su un passato fatto di schiavitù e dominio sui più poveri.
Come affermato dal poeta Tommaso Marinetti nel suo “Manifesto futurista” del 1909, ora è la tecnologia a proiettare l’uomo verso le alte vette dei principii dell’uomo forte.
Non da meno l’architettura. Diventa imponente ergendosi nelle città italiane e tedesche dando vita ad opere squadrate, precise, autorevoli e funzionali.
Ma ad essere ugualmente squadrata, precisa, autorevole e funzionale è la pubblicità del tempo. La parola d’ordine è una sola: autarchia!
Le immagini, sono figlie di quel Futurismo e di quel Cubismo solido ed irremovibile.
I copy sono austeri e imperativi. Insomma l’arte pubblicitaria è completamente assoggettata alle figure di Mussolini e Hitler.
Gli esponenti del Futurismo italiano sfruttano le potenzialità della comunicazione di massa, ponendosi soprattutto al servizio della produzione industriale loro contemporanea.
Se i manifesti ideologici degli artisti futuristi vengono realizzati con le tecniche di una comunicazione assertiva, dai colori forti e con un uso sapiente dei caratteri tipografici e della loro disposizione, queste caratteristiche vengono ugualmente impiegate anche fuori dall’attività artistica strettamente intesa, particolarmente in pubblicità.
La produzione seriale industriale trova dunque nel linguaggio futurista un mezzo ideale per celebrare la modernità e la velocità, ed enfatizzare così il messaggio pubblicitario attraverso l’efficacia della composizione artistica.
Tra i pubblicitari di maggior successo in quell’epoca troviamo Fortunato del Pero, trentino, classe 1892. Artista poliedrico che collabora per tutta la sua vita con il mondo della pubblicità.
La pubblicità approda in un periodo ancor più difficile per la cultura e la pace mondiale.
Le grandi agenzie dei Mad Man americani sono ancora lontane.
Questa è l’era della volumetria, della chiarezza e pesantezza di forme…l’ora del Campari, ma anche
l’ora delle decisioni irrevocabili“.