Mentre dalle nostre parti si ragiona ancora in termini di elenchi di keyword e checklist, il resto del mondo si chiede se queste abbiano ancora qualche rilevanza.
Iniziamo con un piccolo esperimento: prendiamo un certo numero di professionisti che lavorano con Internet a diversi titoli e proviamo a chiedere come imposterebbero una strategia SEO.
Nove volte su dieci otterremo una lista di keyword più o meno estesa, qualche indicazione su come inserirla nel testo, qualche cenno sulla sovraottimizzazione. In realtà, come dice questo interessante articolo su Search Engine Watch l’affermazione “Google ama le keyword” è estremamente semplicistica.
E, soprattutto, è un fatto sempre meno vero. Riportiamo le parole originali, riferite a un approccio alla strategia SEO che ormai fa parte della storia antica, e agli inevitabili risultati:
“Includi quante più keyword puoi nel tuo contenuto. Google ama le keyword. Guarda il tuo sito languire nell’oscurità e grattati la testa chiedendoti perché non sta funzionando, sembrava tutto così semplice”.
Dai rischi di questa affermazione ci mette in guardia lo stesso articolo di cui sopra. Riportiamo un’idea che sta iniziando a farsi strada, quasi paradossale:
“Visto che Google è “intelligente” e interpreta le keyword come un tentativo di scam, allora non bisogna usarle assolutamente, ma sostituirle con artifici e giri di parole”.
Ovviamente, questo approccio è deleterio quanto il precedente.
Ma perché qualcuno lo ha preso in considerazione?
Si tratta di un’idea che prende piede specialmente nel mondo della SEO italiano, che è geneticamente innamorato delle regolette SEO, delle checklist e in generale di tutto quello che permette di illudersi che basti seguire qualche passaggio per fare della buona SEO.
Qualcuno ricorda Efebe e Tsort e l’uso di certi cavalli di legno del compianto Terry Pratchett? Siamo praticamente allo stesso livello: invece di guardare le cose nel suo insieme, la dipendenza da regole e convenzioni genera idee al limite della distorsione cognitiva, in cui il punto di partenza di ogni ragionamento è la convenzione precedente.
Un po’ come quando, improvvisamente, qualcuno annunciò la morte del guest posting, mentre l’unica cosa ad essere finita era il cattivo guest posting. Che poi questo costituisse il 95% circa di quello che era stato prodotto fino a quel momento, è un altro discorso.
Casomai qualcuno se lo chiedesse, abbandonare le keyword è un’idea altrettanto pessima rispetto all’affidarsi esclusivamente a loro.
Ancora una volta, non è un problema strategico. Non sono le strategie SEO basate sulle keyword ad essere defunte. Semplicemente, le cattive strategie SEO basate esclusivamente sulle keyword oggi funzionano poco e funzioneranno sempre meno in futuro.
Rubando a un altro grande della letteratura umoristica e rifacendoci un po’ alle sottoculture molto in voga qualche anno fa, possiamo dire che è necessario un approccio olistico alla SEO. (ok, chi volesse cercare “SEO olistico” troverà che il termine è già stato coniato, ma del resto la parola SEO è stata oggetto di ogni possibile associazione, nel disperato tentativo di catturare qualche long tail).
Senza addentrarsi troppo in aspetti semiotici, il punto è molto semplice: non esiste strategia SEO senza contenuti validi e, soprattutto, senza contesto.
Il motivo è di una semplicità sconfortante: quello che viene definito in modo estremamente semplicistico “l’algoritmo di Google” in realtà è un ecosistema complesso e strutturato. Per esempio RankBrain, uno degli ultimi sistemi di classificazione, è basato sul machine learning.
E la base del machine learning è proprio quella di superare la rigidità degli algoritmi canonici, alla ricerca di una flessibilità di elaborazione più umana. Per metterla giù molto semplice, Google vuole rendere il suo algoritmo sempre meno simile a un algoritmo e sempre a una persona. E le persone delle keyword se ne fregano.
Perché le persone vogliono risultati pertinenti e rilevanti, anche quando non usano le parole formalmente corrette per le loro ricerche.
Termini come “intenzione di ricerca”, “indicizzazione semantica latente”, “ricerca semantica”, si intende proprio questo: le persone cercano informazioni, non le parole, per lo meno nei contesti più comuni.
Se per esempio qualcuno cercasse “Strategie SEO”, giusto per rimanere in tema, con ogni probabilità sarebbe più contento di trovare un compendio di tecniche e buone pratiche che non l’ennesimo “elenco di strategie SEO” che si limita a enumerarle.
In definitiva, non sono le keyword a essere in discussione ma, ancora una volta, il tentativo da parte di una certa categoria di esperti e consulenti SEO di ridurre tutto a regole, trucchetti e checklist replicabili all’infinito: un approccio destinato a sparire sotto il peso soverchiante dei contenuti davvero rilevanti.
In attesa che i sistemi di indicizzazione siano (finalmente!) in grado di valutare una pagina esclusivamente in base alla validità delle informazioni e ci affranchino (finalmente!) dalle keyword, cosa dobbiamo fare nel 2018 per collocare bene le nostre pagine ed essere pronti al futuro?
Facile, in teoria. Come abbiamo scritto poco sopra, adottare un approccio olistico alla SEO, e rivalutare le keyword come strumento e non come fine.
Oggi, insomma dobbiamo vedere le keyword come sistema per indicare agli algoritmi un contesto per il nostro contenuto, una indicazione di massima dell’argomento di cui vogliamo parlare.
Ma la vera chiave del successo è andare oltre. Una pagina con qualche errore formale, anche dal punto di vista della SEO on page, ma ricca di contenuti rilevanti, consistenti, utili, vince e vincerà sempre di più contro una pagina che segue pedissequamente ogni “regoletta” ma è povera di vero contenuto.
Ma ricordiamoci dell’aspetto olisitico: questo non significa né abbandonare la ricerca di keyword, né poter pubblicare i contenuti con HTML deprecato o senza formattazione, con immagini in bitmap da 4 MB ciascuna. Tutto ha il suo peso e la sua importanza, ma solo se è correttamente bilanciato.
La correttezza formale del codice non basta, un buon uso delle tag non basta, i soli contenuti non bastano (a meno di casi estremamente eclatanti).
Una buona strategia SEO nel 2018 deve saper tenere conto di ogni aspetto, e trovare il giusto equilibrio fra le parti.